Il naufragio del Supply-Vessel Agip Murex |
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Il CDM Idamo Rossi, amico della Società, ci invia una toccante testimonianza che sottolinea certi aspetti - troppo spesso ignorati - del lavoro sul mare. Nel maggio del 1982 lasciai un ottimo imbarco, con un buon stipendio, per imbarcarmi sui “supply vessel” Agip (unità di rifornimento e assistenza). Ero da poco sposato e non volevo più stare lontano da casa, tanto che quando facevo cabotaggio in Algeria, vidi per la prima volta mia figlia quando aveva già due mesi.
Quel nuovo ambiente di lavoro era costituito da una piccola flotta di quattro rimorchiatori oceanici per l’assistenza alle piattaforme petrolifere. Lo stipendio non era granché, ma avevamo una turnazione da sogno, ovvero tre settimane a bordo e altrettante a casa; dopo un anno si sbarcava per usufruire delle ferie da uno a due mesi, dopo di che, si reimbarcava su un altro mezzo. Il 30 settembre del 1983 fui destinato sull’Agip Murex, una bella “barca” con quattro cannoni fire fighting (per spegnimento incendi), simile al rimorchiatore descritto nel libro “Come il mare“ di Wilbur Smith. L’unità poteva rimorchiare un rig (piattaforma galleggiante) e, grazie alla potenza delle sue macchine, portarla al guinzaglio come un cagnolino. Gli dei mi furono propizi, forse non vollero che fossi sottoposto ad un secondo naufragio dopo il primo sulla m/c (motocisterna) Punta Ala. Pertanto, a fine novembre 1984 imbarcai sulla Agip Bellerophon. Nel mese di agosto del 1985 mentre ero a Scanno in riposo, mi telefona un collega (eravamo circa cento persone che facevamo servizio sui mezzi, ci conoscevano un po’ tutti). Mi dice di andare a comprare il giornale: la Murex era affondata! La Repubblica titolava: "Scontro nel canale di Sicilia, a picco rimorchiatore oceanico"!
Durante gli imbarchi successivi navigai con alcuni superstiti della Murex. Venni così a conoscenza dei vari particolari. Quando sento i vari lazzi piccanti in merito alla vita dei marinai del tipo “ma come fanno i marinai?”, bisognerebbe anche chiederlo a quelle famiglie che non hanno nemmeno una tomba dei loro cari sulla quale piangere o portare un fiore.
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