Sprecare un siluro per un veliero |
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La notte del primo luglio 1915, il Capitano Nardo Bianchi osservava sereno l’ultima parte dell’agile navigazione del suo Sardomene (pron. Sardomìn), veliero armato dagli imprenditori camogliesi Mortola e Bozzo.
I pensieri del Comandante Con quella splendida nave a vela, considerata un veloce “clipper“, era partito il 21 febbraio da Bunbury in Australia, con destinazione Liverpool. Portava con sé un carico di legno pesante, il “jarrah”. Quel materiale era usato nel Regno Unito soprattutto all’esterno: travertini, cancelli, recinzioni, pavimentazioni varie, eccetera. Aveva il pregio di indurirsi fortemente una volta maturato, fino al punto di non poter essere trattato da nessun utensile dei falegnami.
L’Italia a quel tempo era già in guerra con l’Impero Austro-Ungarico, ma non esisteva di fatto una formale dichiarazione di ostilità tra il nostro Paese e la Germania, alleata dell’Austria.
Quegli armatori camogliesi avevano costruito un’azienda grande e florida, che riuscì in seguito a traghettare abilmente il business dei traffici a vela ottocenteschi verso i più moderni piroscafi. Bianchi rifletteva anche sulla stranezza che quella nave non ospitasse nessun membro d’equipaggio proveniente dalla “Città dei Mille Bianchi Velieri”. Ciò era spiegato dalla sua lunga permanenza all’estero: infatti, oltre agli italiani, a bordo lavoravano russi, svedesi, spagnoli e scozzesi.
Ad un tratto, una forte esplosione sconquassa il veliero camogliese. L’equipaggio è in preda al panico, le sovrastrutture e lo scafo cedono, la nave – appesantita dal carico di legno duro – collassa e affonda in pochi minuti. Undici dei ventidue membri d’equipaggio – incluso il Capitano – periscono nella tragedia (fonte: Alfredo Noris, sopravvissuto). I naufraghi vengono salvati dalla nave scorta inglese, ma per gli altri non c’è niente da fare. Il colpo fatale era stato sferrato da un sommergibile tedesco, l’U-Boot U24, comandato dal Capitano Rudolf Schneider.
Sicuramente, mentre affondava, Bianchi si chiedeva perché non venne dato nessun preavviso dell’attacco e perché una nazione formalmente non ostile avesse attaccato un’unità italiana, “sprecando” così un siluro per un innocuo veliero. Va qui ricordato che solo un mese dopo, sarà accordato tra i belligeranti di preavvertire le unità mercantili prima di colpirle.
Tra gli italiani sopravvissuti c’era il genovese Alfredo Noris – Primo Ufficiale - che raccontò quegli orribili attimi: Passando per il ponte, vide due marinai, Francesco Orteghe e un altro, gravemente feriti; capimmo allora che non ci sarebbe stato il tempo di lanciare le scialuppe. Venne dato l'ordine di afferrarsi ai salvagente e di gettarsi in acqua, che ognuno provvedesse a sé stesso e Dio per tutti.
Noi balzammo in acqua: due minuti dopo, il Sardomene colò a picco con gran risucchio, trascinando con sé quanti non erano così lontani da evitare quel vortice. Contammo undici cadaveri in acqua e tanti ne vennero raccolti dalla nave di scorta affrettatasi in nostro soccorso. Due italiani erano stati uccisi dalla esplosione: il cuoco Giorgio Valle e il marinaio Luigi Molla, fra gli scampati, oltre a me e a sei marinai stranieri, lo spezzino Ernesto Capetta e il napoletano Salvatore Molla».
Anche a Camogli l’eco della tragica notizia riempì di tristezza le vie cittadine. In un incontro del Consorzio degli Armatori e dei Capitani di Camogli, il rappresentante Antonio De Gregori inviò formalmente all’Ammiraglio Giovanni Bettolo – a quel tempo parlamentare - una lettera di protesta così da essere inoltrata al Primo Ministro Salandra.
Bettolo affermò che “il Governo ha avanzato adeguate proteste per l’aggressione e che a tempo opportuno speriamo siano dati risarcimenti adeguati”. L’affondamento del Sardomene venne registrato nella storia come la prima perdita di una nave mercantile italiana nel Conflitto 1915-18.
L’unità fu costruita a Southampton nel 1882 per conto della grande flotta Fernie, Henry & Sons di Liverpool, che fu attiva dal 1870 al 1905. Aveva una portata lorda di 1927 tonnellate, lunga ben 92 metri (i brigantini a palo camogliesi erano di circa 65 metri), tre alberi con vele quadre. Aveva lo scafo in ferro, come era d’uso in Inghilterra a quel tempo di transizione tra la propulsione eolica e quella meccanica. Va qui ricordato che molti nostri armatori acquistarono a fine secolo velieri inglesi con struttura in ferro, ovviamente più resistenti alle operazioni marittime e pressochè inesistenti in Italia. Era quindi una grande nave, che sicuramente sarebbe stata più veloce se avesse avuto un albero extra, mettendola così davvero alla pari coi rapidi clipper inglesi e americani adibiti al traffico del tè.
Nel 1910 fu acquisita per 2.800 sterline dagli affermati armatori camogliesi Giuseppe Mortola e Vittorio Bozzo che furono gli artefici di una delle più grandi flotte italiane a cavallo dei due secoli. I nuovi padroni fecero applicare allo scafo scuro della nave una lunga striscia bianca. L’unità, favorita dalla struttura in ferro, trasportava carichi pesanti come carbone, piastrelle, legni molto duri. Effettuò generalmente navigazioni transoceaniche che avevano come punto fermo l’Australia, poi il Mediterraneo, gli Stati Uniti ed il Sud America. La nave camogliese rimase nota, sindacalmente parlando, perchè fu proprio nella sua stiva numero 1, durante una scaricazione a Melbourne che alcuni portuali lanciarono l’idea della giornata lavorativa di otto ore, reclamandola naturalmente. Quindi, per lungo tempo, i vessilli delle associazioni operaie australiane recarono l’immagine del Sardomene sotto vela.
Nell’ultimo viaggio, il veliero camogliese partì da Marsiglia il 28 luglio 1914 al comando di Nardo Bianchi con un carico di piastrelle con destinazione Bunbury, nei pressi del porto di Fremantle (Perth), nell’Australia Occidentale. Lì arrivò il 17 gennaio e, dopo le necessarie operazioni portuali, il 21 febbraio partì per Liverpool con 4.000 tonnellate di legno “jarrah”. Da notare, che durante il viaggio Australia-Inghilterra il veliero fece una toccata in Sud Africa per scaricare parte del legname. E’ inoltre possibile che l’equipaggio fosse poco informato sull’entrata in guerra italiana (maggio 2015) poiché la nave era in alto mare; fu sicuramente avvertito quel primo luglio, all’arrivo in acque inglesi.
Il toccante commento della sorella del Comandante Bianchi La sorella del Capitano Bianchi, ricordò tristemente alcuni episodi di famiglia, affiorati mentre osservava le rovine del suo palazzo nei pressi di Treviso, abbattuto dall’artiglieria austro-ungarica nel Primo Conflitto. “Sotto le macerie rinvenni la fotografia di mia madre. Sempre bella. Diseppellii pure quella del mio prediletto fratello. Non è bastato al nemico lanciare il perfido dardo, colpire l’innocuo veliero guidato da Nardo nelle isole d’Irlanda e cacciato a fondo con un siluro assieme a quasi tutto l’equipaggio. Ha voluto ancora, quel vile, colpire l’effige del capitano del Sardomene nella sua casa di campagna, fra le pareti domestiche”. Bruno Malatesta/maggio 2015 Fonti: Eventuali precisazioni o ulteriori informazioni sono benvenute. Grazie |
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