L'onorabilità del Capitano di mare |
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Quando Camogli iniziò la sua ascesa alla gloria della marineria velica di metà '800, le leggi che regolavano la navigazione erano disciplinate dal "Codice di Commercio", cioè l'antesignano del nostro Codice della Navigazione. Ovviamente, prima dell'Unità, i vari stati della nostra penisola avevano le loro leggi in materia, ma quelle più utilizzate dalle nostre navi derivavano da codici francesi. Bonaparte aveva già influenzato la Liguria, poi fu la volta del Regno di Sardegna ed infine, nel 1861, il Regno d'Italia. Il Capitano ha l'onore di comandare coloro che si son fatti compagni del suo viaggio, impone loro un forte dovere e infonde ad essi l'esempio del coraggio e del valore professionale. Inoltre, in qualità di loro capo, è tenuto ad avere più determinatezza di essi. Il Capitano deve opporsi ai pericoli e coordinare la sua gente a fare tutti gli sforzi per fronteggiarli. Egli deve incitarla, minacciarla, insomma, non deve arrendersi neanche alle loro decisioni, se non quando la prudenza non gli permette più di resistervi. Abbandonare la nave e fuggire è per un capitano l'evento più rilevante e più spiacevole. Le cause per abbandono possono essere il timore di esser fatto schiavo o prigioniero, oppure quando si è nella impossibilità di difendersi; altre cause possono essere quando un incendio minaccia la nave o quando la stessa è prossima al naufragio. Ogni professione ha i suoi particolari doveri. Quelli di un marinaio consistono nel gestire i pericoli della navigazione che lo circondano e che non devono comunque disturbare la sua tranquillità. Per esercitare questa professione importante bisogna senza dubbio avere altrettanta abilità e coraggio ed è ciò quello che la rende così onorevole, cioè quello che le dà un posto così distinto fra tutti gli altri mestieri. Perchè possano cedere senza disonore ai pericoli dai quali si credono minacciati, non basta che il rischio sia o sembri imminente; se questo non è insormontabile, bisogna che sia affrontato da uomini, la prima virtù dei quali deve essere il coraggio e l'essere il capitano un vile non porta con sè l'assoluta necessità di tacciare anche di viltà l'intero equipaggio. Lungi da noi quelle funeste massime, quei princìpi barbari, che un marinaio è sempre obbligato a perire col bastimento che lo porta; che egli non può abbandonarlo senza colpa; che lo stato più deplorabile di tal bastimento non autorizza un "ad evitare la morte che gli sembra certa". La bravura e la stessa temerarietà hanno dei limiti, ma il capitano non deve mai abbandonare il suo bastimento se non è l'ultimo a farlo.= Bruno Malatesta - 3/2019 |