SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI

Passa qualche anno e qualcosa cambia...
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Riportiamo qui di seguito un intervento del Socio Silvano Masini che, pur riguardando marginalmente il nostro ambiente marinaro, rappresenta una schietta e toccante riflessione sulle atmosfere del suo passato, quando il mare sembrava ancora così lontano...


Premessa

I fatti di Carcare dove alcune adolescenti facevano mercimonio del loro corpo (una cosa squallida per loro, per chi li attornia, per la scuola, per la società…per noi tutti) mi hanno riportato a ricordi lontani che mi sono prepotentemente emersi dalla memoria.

***


Nato nel 1934, fra il 1942-1947 ho vissuto (per ragioni belliche e famigliari) con i nonni paterni in un piccolo paesino delle Apuane, Montignoso. Un gruppo di casupole abitate da cavatori del marmo arroccate sotto il Carchio, una montagna bianca che si nota da lontano per la sua guglia appuntita verso il cielo.
Mio nonno, cavatore anch'esso e poi sovrintendente, era un omone grande e grosso sempre vestito, estate ed inverno, con la cacciatora di velluto, i calzoni di fustagno, la maglia di lana ed i calzerotti fatti dalla nonna nelle veglie invernali. Fra l'estate e l'inverno l'unica cosa che cambiava era il cappello: di feltro all'inverno, di paglia all'estate. Alla sera mi sedeva sulle ginocchia davanti a casa e mi raccontava del Forte, di Seravezza, di Viareggio e di quando vide Puccini sul baroccio…un mondo che mi suonava da favola e mi riempiva di meraviglia e curiosità, mai sazio di ascoltare.

La cucina mi sembrava la cucina di Fratta, rivista anni addietro non era piu' grande di un bugicattolo appena abitabile.L'uscio senza chiusura e sempre aperto per i cavatori che passavano e rimediavano un mestolo d'acqua che la nonna preparava nel paiolo per il mattino a buio. Dal mio giaciglio di cartocci di granturco, sotto il tetto, li sentivo calcare l'acciottolato col passo lento e fermo di chi ha ancora un paio d'ore di cammino da fare.
Talvolta col nonno s'andava a Vezzano, dallo zio Cesare, e per far questo si scendeva alla piana a prendere il treno di mattino presto, tanto che a buio eravamo già seduti sul terrapieno in attesa. Il treno sia annunciava con un luce lontana e via via con uno sferragliare e sbuffare sempre piu' forti per poi fermarsi in una nuvola bianca…io ero in un estatico silenzio e rapito da un forte senso dell'avventura che sia andava a compiere….sensazioni che ancora sento vive rileggendo “alla Stazione” del Carducci

Con un gruppetto di bimbi ambo i sessi abbiamo calcato per anni le panche della scuola che riassumevano tutte le cinque classi elementari, insieme abbiamo giocato nei boschi, rubato frutti, snidato uova, raccolto castagne e fatto il bagno nudi nel Canal Magro che ci sembrava enorme, e si arrivava su-su fino al Pascuilio, ai piedi del Carchio, a raccogliere i bacolei (mirtilli).
E sempre scalzi, sommariamente vestiti maschi e femmine in una comunione di vita totalizzante che pensavamo non sarebbe finita mai. Qualcuno era piu debole e piu segnato dalla sfortuna ed ognuno era pronto a dare il sostegno giusto senza caritas e senza pietas , ma perché era naturale farlo.

Il mondo dei grandi per noi non esisteva ed il nostro traguardo era il rivederci il mattino dopo per ricominciare il gioco della vita racchiuso in quella collina come in uno scrigno.

Passa qualche anno e qualcosa cambia.

Non nella comunione della vita…..qualcosa nei nostri corpi si modifica…la nostra intimità si fa piu' cauta…..il rapporto con le bimbe si stacca un poco…..ci sembra giusto scoprirci di meno. Restavamo comunque ancora dei selvatici alla scoperta della vita. Piano piano collettivamente si scopre il gioco della sessualità che resta sul piano scherzoso anche quando le bimbe prendono coscienza del loro ruolo di richiamo e viene a loro spontaneo chiedere dei pegni per permettere certe innocenti libertà, scoprire quanto si era adesso coperto per osservare il cambiamento.

Ed il pegno erano le pesche dei Conti Sciffe (si scrive cosi'? sono rimasto con questa lacuna) che crescevano, insieme ad altri frutti, nel frutteto che era stato del Conte Sforza. Un frutteto meraviglioso dalla frutta di un grandezza mai vista, recintato accuratamente e guardato a vista dal custode che picchiava a sangue chi trovava sul fatto e non faceva a tempo a scappare. Un giardino dell'Eden.
Le pesche erano non piu' di una dozzina per albero, ma grosse come meloni, dolci come il miele, un dono davvero prezioso per una preda ambita.

Per cogliere il frutto proibito organizzavamo dei veri e propri raid militari con scavi sotto il recinto, sentinelle di guardia, accorgimenti di dissimulazione e diversivi. Tuttavia non sempre le cose funzionavano ed il segno delle cinghiate restava sulle gambe nude. Alla sera i nonni chiedevano la ragione di quelle piaghe e la colpa era sempre dei rovi che difendevano le more…..guai se avessi detto al nonno la vera ragione, il resto lo avrebbe fatto la sua cinghia.

…..ma il tempo passa e quella stagione finisce.

Purtroppo siamo diventati grandi, ho preso la via del mare e solo piu tardi sono tornato a Montignoso con un groppo grosso cosi. Due amiche della combriccola sono diventate maestre, una medico, tutte madri e nonne esemplari attorniate da figli e nipoti…

….ma la storia non finisce qui….

…In quella combriccola di animaletti c'era una bimba sfortunata da una paralisi infantile e da una natura matrigna che non l'aiutava. Oggi me ne rendo conto, ma allora era una di noi che aiutavamo in tutte le nostre scorribande con grande naturalezza, senza pietismi e la sua disabilità neanche avvertita. Cosi come facevamo con un amico nato con piede un po' critico e che dovevamo aiutare scappando dal frutteto degli Sciffe (ma si scrive cosi?).
Arrivati al momento critico del cambiamento il rischio di una differenza si affacciò fra noi, e qui –ecco la bellezza e la grandezza della AMICIZIA- fu lei stessa a richiedere un segno d'amore come per le altre piu' fortunate. Lo ebbe.

Quando ripenso a quei momenti mi viene da pensare di avere sognato, un mondo che non era l'Arcadia ma neanche una Gomorra, un mondo dove la fratellanza arrivava fino all'estremo della sua rappresentazione, dove il pegno d'amore poteva essere una pesca cosi come il tendere della mano. Quella bimba non arrivò all'età adulta.

CSDM Silvano Masini (5/2007)