SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI

Ai miei amici Macchinisti/To my Engineer friends
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(di Dino Emanuelli, Scrittore, Pubblicista di Cose di Mare/Autore Televisivo)

Un giorno, curiosando tra gli scaffali di un antiquario, nella speranza di trovare qualche libro o pubblicazione per arricchire la mia Biblioteca Navale, improvvisamente apparve “The Compass” una “Pubblication of Vacuum Oil Company Inc”, una rivista mensile degli anni ‘30 dedicata al mondo dello Shipping.
The “Compass” era una rivista mensile degli anni ‘30 “published by The Marine Sales Department (NY) Printed in USA”.
Nello sfogliarla fui colpito da un articolo: Queen Mary Break record “Cunard White Star Liner Sets New Record for Eastbound and Westbound Passage”.
In alto vi era la fotografia del bellissimo transatlantico in navigazione, ma fu la foto al centro che mi stupì in modo particolare:
“Mr William E.Sutcliff, Chief Engineer of the record-breaking Cunard White Star flagship “Queen Mary”.


Era la prima volta nella mia vita che in una pubblicazione Marittima vedevo il giusto riconoscimento al “responsabile delle Macchine” di un transatlantico che aveva compiuto una leggendaria impresa sul Mare.
Sullo scaffale dell’antiquario di queste riviste ce n’erano altre, le sfogliai tutte ed in ogni numero una pagina era dedicata ad un “Chief Engineer” con foto, storia della Nave e delle “sue macchine” affidate al Direttore di Macchina.
Per me questo era un fatto storico cosicché comprai tutte le dieci riviste disponibili, poi con calma e riflettendo pensai che la rivista fosse sponsorizzata da una grande Società Petrolifera (elemento principale come propulsore delle macchine, il petrolio)… ecco spiegato l’attenzione, l’omaggio ai Chief Engineers, quelli che avevano la responsabilità di “far girare l’elica” con sicurezza ed efficienza.

Il Rex in costruzione a Sestri Ponente/The Rex under building at Sestri Ponente yard


Anche la Marina Mercantile Italiana ha vissuto il suo momento di gloria con il Rex ed il nome del Comandante Francesco Tarabotto diventò famoso in tutto il mondo, ed ogni volta che leggevo un articolo sulla grande impresa marinara del Nastro Azzurro (North Atlantic Blue Ribbon Challenge Trophy) da buon “marittimo” mi domandavo: ma chi era il Direttore di Macchina del Rex?
Il Com.te Tarabotto, capo assoluto della spedizione, con la scelta intelligente della rotta a Nord e la valutazione professionale dei venti e del mare ha certo contribuito a battere questo record dell’Oceano Atlantico; ma il record consisteva nel battere la velocità di traversata compiuta dai transatlantici che precedettero il Rex, in una gara tra Paesi di Mare di grande prestigio ed in Sala Macchine del Rex si visse quel record sulla pelle minuto per minuto...
Minuto per minuto in un assordante rumore... con gli occhi puntati sulla Macchina Principale, gli indicatori di pressione, il contagiri delle eliche... in un’atmosfera da inferno dantesco con gli occhi febbrili che bucavano l’aria irrespirabile… sguardi che si confondevano con il nero del grasso sul viso.
Un gruppo di Uomini, di marittimi, quelli della Macchina dove nei momenti più importanti e di tensione si annullano i gradi, la divisa e restano soltanto gli Uomini uniti nello sforzo di impedire che la macchina si fermi o solo rallenti all’improvviso.


Dall’ultimo Carbonaio (la maiuscola ci sta) al Direttore di Macchina il cuore che batteva era uno solo: se avessero potuto avrebbero spinto con le proprie braccia quel colosso in azione e forse lo facevano davvero vista la tensione ed il sudore!
Lo confesso, sono emozionato soltanto a scrivere queste parole perché la “vita in Macchina” è sempre stata la vita più silenziosa e riservata del Marittimo ed allo stesso tempo la vita più dura. La Marina Mercantile Italiana e del Mondo devono molto a questi Uomini!

Finalmente un giorno venni a conoscenza del nome del Direttore di Macchina del Rex. Su una bancarella del Mercato dell’Antiquariato trovai un numero della “Storia Illustrata” dell’Agosto 1983. In copertina, a piena pagina, la foto del Rex, il titolo “ Cinquant’anni fa il Rex/Nastro Azzurro”.
Nelle pagine interne l’articolo e le foto in bianco e nero dell’epoca.

- 1 Agosto il varo del Rex, madrina la Regina Elena: la Regina sale la scala della tribuna delle Autorità.
- altra foto: il Rex scivola in mare in una nuvola di fumo.
- in un’altra foto il Rex incrocia un altro gigante del mare il “Conte di Savoia”. Ed infine, in primo piano, la foto del Com.te Francesco Tarabotto (a destra, con barba e baffi neri) accanto a Costanzo Ciano (Ministro delle Comunicazioni), altre autorità di New York e, finalmente, a fianco di Costanzo Ciano e Tarabotto, il Direttore di Macchina Luigi Risso. Ciao Direttore! Finalmente fra noi. Era una vita che aspettavo di conoscerti, sei proprio come immaginavo: sereno, tranquillo, sorriso riservato… un buon padre di famiglia che ama la sua casa (la nave) ed i suoi cari (ufficiali, sottufficiali, comuni di Macchina).

Il Rex in arrivo a New York/The Rex arrival at NY

Bravo Sciù Risso! Sei stato veramente un grande Uomo di Mare… lo dico senza che mi senta u Sciù Tarabotto, ma... tu sei stato il vero vincitore del Nastro Azzurro.
Quando il Rex ha cominciato a beccheggiare e di prua il mare ingrossava tu non staccavi lo sguardo dal telegrafo di macchina come sul ponte di Comando il Com.te Tarabotto non staccava lo sguardo dal mare che frangeva sulla prua… e l’indicatore del telegrafo che continuava a rimanere fisso su “Avanti Tutta”.
In Macchina tremava tutto ed il cervello di tutta la Gente di Macchina vibrava come l’elica ad ogni colpo di mare. Chissà cosa Le passava per la mente (scusi, ma ora “sento” di darle del Lei) Signor Direttore! La paura professionale di non farcela (che non c’entra con la paura umana), che si spaccasse qualcosa, che qualcosa fosse sfuggito alla preparazione il terribile pensiero di sentire all’improvviso un colpo e poi la pressione che cala…il SILENZIO!
Lei, Signor Direttore di Macchina, i suoi Ufficiali e tutti gli Uomini di Macchina del Rex siete stati grandi! I veri eroi del Nastro Azzurro.

Nessuno ha mai detto questo e sono contento mi sia stata offerta questa occasione: l’omaggio di un Capitano di Lungo Corso ad un Capitano di Macchina.

Appartengo all’ultima generazione di Ufficiali della Marina Mercantile Italiana che ha portato emigranti.
Diplomato all’Istituto Tecnico Nautico San Giorgio di Genova il mio primo imbarco avvenne nel 1950 come Allievo Nautico sul P.fo “Maria C” della Costa Armatori, un viaggio come studente nel mese di Agosto: Genova-Malaga-New York.
Sono sincero, avevo tutt’altro che il “piede marino” anche se mio padre era un Capitano di Lungo Corso.
Durante la seconda guerra mondiale fu preso prigioniero con la sua nave dagli Inglesi in Palestina, così da Genova andai con la mamma a vivere sulle montagne piemontesi nell’albergo dei nonni materni.
Imparai prima a sciare che a nuotare e la prima volta che salii a Bordo mi sentivo veramente fuori dal mio elemento. Per il mio spirito di osservazione (quello che nella seconda parte della mia vita mi ha fatto diventare autore televisivo) nei primi giorni di navigazione, durante i pranzi in Saletta Ufficiali, mi resi conto che il Comandante e gli Ufficiali di Coperta sentivano di appartenere alla “nobiltà” della Gente di Mare.


A contribuire a quest’atmosfera era il Comandante, un siciliano sulla sessantina che interpretava con stile il ruolo di Comandante, tanto che (la nave era una vecchia carretta da carico con qualche passeggero) era sempre in divisa sullo stile inglese che d’estate (e lo era) prevedeva camicia bianca con gradi, a maniche corte e pantaloni al ginocchio bianchi.
In questo mio primo viaggio in mare, tutto preso a picchettare la ruggine in coperta alternando le ore sul Ponte al timone, non mi resi conto di cosa fosse la vita di bordo del personale di Macchina.
Al mio primo imbarco da Allievo di Coperta sulla M/N “Franca C”, con un periodo passato ai Cantieri del Muggiano per la trasformazione della Nave, cominciai a capire cosa fosse la Macchina.
La Nave era una passeggeri costruita nel 1914 a Newport News in Virginia, nata per il trasporto passeggeri lungo le coste Americane e adesso veniva trasformata per il trasporto emigranti sulle rotte del Centro America ed i diesel sostituirono il vapore.


Sulla “Franca C” mi resi davvero conto di quanto fosse dura la vita dei Macchinisti. Erano gli anni del dopoguerra quando gli Armatori faticavano a far quadrare i bilanci, le navi non si dovevano mai fermare e la manutenzione era fatta dal personale di macchina durante le soste e talvolta anche in navigazione.
Ricordo ancora come se fosse adesso, nel porto di La Guaira con un caldo tremendo, quando i Macchinisti all’ora di pranzo entravano in Saletta con nel viso una maschera di fatica e la tuta macchiata che contrastava con le nostre linde divise bianche di Coperta. La prima cosa che facevano era scolarsi un litro di latte. Gli spettava per contrasto ai fumi velenosi che respiravano nel Locale Macchina.

La Bianca C. in navigazione/The Bianca C. under way


Tra i Macchinisti esisteva una tradizione: a tavola non parlavano mai di lavoro e cosa avevano fatto sul motore principale. Doveva essere un segreto che si doveva portare dietro fino… alla tomba… e purtroppo un giorno fu proprio così.
In tutti i miei anni di navigazione ho sempre avuto un ottimo rapporto con i Macchinisti. Navi da carico, petroliere, passeggeri: la vita del “macchinista” era sempre sotto pressione e quando ci incontravamo in Saletta loro erano sempre sporchi d’unto ed io sempre bianco e pulito. Ma con loro ho sempre avuto un cameratesco rapporto forse maggiore che con i colleghi di Coperta.
“Dai Emanuelli – mi diceva il Direttore o il primo Macchinista – raccontami qualche avventura quando a terra eri un famoso ballerino di rock and roll e di tango, mi rilassa davvero dopo una giornata passata in Macchina”. In quei momenti tiravo fuori il mio istinto dello spettacolo ed ero felice, non di esibirmi, ma di intrattenere i miei amici macchinisti che ridevano di gusto.
“Belan Emanuelli sei grande, perché invece di fare il marittimo non ti dai da fare nel cinema e nel teatro?”
A quarant’anni lasciai il mare ed arrivai a Roma nel mondo del Cinema e della Televisione ma il mio mondo, quello della Gente di Mare, è stato la mia salvezza per i valori che mi sono portato dietro in un altro mondo che subito mi deprimeva per la loro mancanza. E come un’ancora di salvezza mi attaccavo ai miei ricordi di mare ed a quanto i macchinisti mi sollecitavano a fare:
“Belan, Emanuelli, non dimenticare che oggi fai il varietà ma ieri sei stato uno di noi, un uomo di mare, un Capitano di Lungo Corso”.


E a ricordare quella vita, quella della Marina Mercantile, sono stati proprio loro… l’ultimo ricordo, doloroso purtroppo, è quello della “Bianca C”, uno dei miei ultimi imbarchi, rotta ancora per La Guaira.
Il Comandante era un grande uomo come persona e come Marinaio, il Direttore di Macchina una persona stupenda di altissimo livello professionale. Non scrivo i loro nomi per rispetto a quanto sulla Nave accadde e che segnò per sempre la loro vita.
Erano le 9 del mattino del 12 Ottobre 1961, la “Bianca” era salpata la sera prima dal porto di La Guaira e ci trovavamo in rada davanti all’isola di Grenada. Avevamo appena imbarcato gli abitanti dell’isola che emigravano con destinazione Inghilterra.
Al momento dell’ordine dalla Plancia “Avanti Adagio” un boato, come una bomba, sconquassò la nave e tutta la rada.
In pochi istanti la ciminiera diventò fiammeggiante e avvolta da ampie volute di fumo nero e poi contorta dal grande calore che saliva dalla Macchina.
Ho un ricordo, una fotografia indelebile nella memoria: il Comandante immobile, con la ciminiera che brucia alle sue spalle... apparentemente immobile, calmo ordina l’abbandono nave. Nei suoi occhi si leggeva tutto il dolore e la disperazione per la sua Nave, per i suoi Uomini, per tutte le persone imbarcate e sotto la sua protezione: tutto stava bruciando.


Insieme agli altri corsi sul Ponte Lance per organizzare l’abbandono nave da parte dei passeggeri (circa mille) e all’improvviso, nella confusione ed il terrore generale, mi si presentò questa scena: sulla coperta del ponte lance erano distesi a terra, su una barella, i due “secondi di Macchina” irriconoscibili per le ustioni... morti.
Impietrito dal dolore il Direttore di Macchina li fissava impotente, nel suo sguardo la disperazione di un padre.
“Direttore - adesso mi scoppia dentro una commozione ed un dolore forse più forte che in quel momento - Direttore sei stato un grande Direttore di Macchina anche nel dolore e tu ed i tuoi due Secondi eravate quelli che mi dicevano: Belan, Emanuelli, raccontami una storia…”
Non avrei mai immaginato di raccontare questa storia anche perché i Naviganti non parlano mai delle disgrazie in mare: si vivono, si ricordano, non si dimenticano più… ma il silenzio è la norma e la scelta migliore.
Questa volta ho rotto questo tabù dei Marittimi perché i Capitani di Macchina e tutto il Personale di Macchina meritano questo grande omaggio: la loro vita di mare è stata la più dura fra la Gente di Mare.
E ringrazio i C.d.M. Silvano Masini e Gian Luigi Maggi che mi hanno offerto l’opportunità di tirare fuori quanto da tempo giaceva nel cassetto delle intenzioni.

Dino Emanuelli - Tratto da "Appunti di Storia dell'Automazione Navale e Dintorni" di S. Masini e G.L. Maggi - Caroggio Editore (Arenzano/GE).


(by Dino Emanuelli, Author, Correspondent on Seafaring Matters/Writer for Television)

One day, browsing through an antiquarian’s shelves in the hope of finding some books or publications to add to my Naval Library, my gaze suddenly alighted on “The Compass”, a “Publication of Vacuum Oil Company Inc” from the 1930’s.
The “Compass” was a monthly magazine dedicated to the world of shipping, “published by The Marine Sales Department (NY) - Printed in USA”.
Glancing through it I was struck by an article entitled Queen Mary Breaks Record “Cunard White Star Liner Sets New Record for Eastbound and Westbound Passage”.
At the top there was a photograph of the magnificent transatlantic at sea. It was the photo at the centre which caught my attention though:
“Mr. William E. Sutcliff, Chief Engineer of the record-breaking Cunard White Star flagship Queen Mary”.
This was the first time in my life that I had seen a maritime publication properly acknowledging the achievement of a Chief Engineer on a transatlantic liner which had performed a legendary exploit on the sea.
There were more copies of this magazine on the antiquarian’s bookshelves. I had a look through all of them, and in each number a page was given over to a “Chief Engineer”, with a photo, and the history of the ship and of the “engines” entrusted to the engineer.


For me this was a piece of history, so much so that I purchased all ten copies. Thinking about it later however, I realized that the magazine was sponsored by a major Oil Company (oil being fundamental to the propulsion of the engines)…this explained the attention given to paying tribute to the Chief Engineers, those who were responsible for “making the propeller turn” safely and efficiently.
The Italian Merchant Navy also experienced its moment of glory, with the Rex. The name of its Captain, Francesco Tarabotto, became world-famous, but as a “seaman” each time I read an article about the great sea-faring undertaking of the North Atlantic Blue Riband Challenge Trophy I used to wonder: who was the Rex’s Chief Engineer?
With his intelligent choice of course and professional assessment of the winds and the sea, Captain Tarabotto, master of the expedition, certainly contributed to the breaking of this record on the Atlantic Ocean. The record, though, consisted of breaking the crossing time achieved by the transatlantic liners which preceded the Rex in a race between seafaring countries of the highest prestige, and in the Engine Room of the Rex it was lived through minute by minute.
Every moment was endured amidst a deafening noise, with all eyes trained on the Main Engine, the pressure gauges and the propeller tachometer, in a atmosphere conjuring up Dante’s hell… feverish eyes penetrating air which was unfit to breathe…looks that became blurred with the black of the grease on their faces.
A group of men, of seamen: the men in the Engine Room, where rank and uniforms are put to one side in key moments when things are tense, and all that remains is men united in the effort to make sure the engines do not stop, or even just suddenly slow down.


From the last Stoker (worthy of a capital S) to the Chief Engineer, just one heart beat: if they could have, they would have been pushing that colossus in motion with their own arms, and considering the tension and the sweat maybe they actually were!
I must confess that I feel moved just writing these words, because “life in the Engine Room” has always been the most discreet and reticent part of life at sea, and at the same time the hardest: the Merchant Navies of Italy and the whole World owe so much to these men!

Finally one day I discovered the name of the Chief Engineer on the Rex. On an Antiques Market stall I found an August 1983 edition of the Italian magazine “Storia Illustrata” (Illustrated History). On the cover was a full-page photo of the Rex, along with the title “Cinquant’anni fa il Rex/Nastro Azzurro” (Fifty years ago: the Rex/Blue Riband). Inside was an article, with black and white photos taken at the time.
- the launching of the Rex on the 1st of August, with Queen Elena as sponsor: the Queen is seen walking up the steps to the rostrum.
- another photo: the Rex sliding into the sea in a cloud of smoke.
- in another photo the Rex is crossing another giant of the seas, the “Conte di Savoia”.
And at last a feature photo of Captain Francesco Tarabotto (on the right, with a black beard and whiskers), alongside Costanzo Ciano (the Minister for Communications), other authorities from New York, and finally – next to Costanzo Ciano and Tarabotto – the Chief Engineer Luigi Risso.
Ciao Chief! There you are at last.
All my life I’d been waiting to see you, and you’re just how I’d imagined you to be: serene, calm, with a discreet smile… a good father who loves his home (the ship) and his loved ones (the officers, the petty officers, the ordinary seamen in the Engine Room).
Bravo Mr. Risso! You were truly a great man of the sea…and I can say it now Mr. Tarabotto can’t hear me …you were the real winner of the Blue Riband.

When the Rex began to pitch, and forward the sea was swollen, you never took your eyes off the engine room telegraph, just as on the bridge Captain Tarabotto never took his eyes off the sea breaking against the prow…and the pointer on the telegraph continued to stay fixed on “Full Ahead”.
Everything was shaking in the Engine Room, and everyone’s head was vibrating like the propeller at each large wave. Who knows what was going through your mind Chief! The professional fear of not making it (which has nothing to do with pure human fear), that something would give, that something had escaped your attention in the preparation: the terrible thought of suddenly hearing a crack, and then seeing the pressure drop… of SILENCE!.

You, Mr. Chief Engineer, your Officers and all the men in the Engine Room of the Rex were truly great! The real heroes of the Blue Riband.
No-one has ever said this before, and I am glad to have been offered the opportunity: a Merchant Captain paying his respects to an Engine Room Captain.
I belong to the last generation of Italian Merchant Navy Officers who transported emigrants.
After graduating from the San Giorgio Technical Nautical Institute in Genoa, my first embarkation was in 1950 as a Nautical Cadet on the Costa Armatori steamer “Maria C”, a voyage as a student in the month of August : Genoa-Malaga-New York.


To be quite frank, even though my father was a Merchant Captain I had anything but “sea legs”.
During the Second World War my father had been taken prisoner with his ship by the British in Palestine, so I left Genoa with my mother to go and live in her parents’ hotel in the mountains in Piedmont.
I learnt to ski before I could swim, and the first time I went aboard I felt completely out of my element. With my spirit of observation (which later led me to become a television writer in the second part of my life) I soon realized during meals in the Officers’ Mess that the Master and Deck Officers felt they belonged to a seafaring “nobility”.
The Master himself contributed to creating this atmosphere: a Sicilian of around sixty years of age, he interpreted his role with such class that even though the ship was an old tramp steamer with a few passengers he always wore his English-style uniform, which in summer (and this was summer) envisaged a short-sleeved white shirt with stripes, and knee-length white trousers.


On this first voyage of mine, taken up with alternately picking away at the rust on deck and hours spent at the helm on the bridge, I did not realize what life on board was like for the hands in the Engine Room.
I only began to understand on my first embarkation as a Deck Hand on the “Franca C”, with a period spent in the Muggiano shipyard for the transformation of the ship.
It was a passenger ship built in Newport News, Virginia in 1914 for transporting passengers along the coasts of America, and now it was being transformed to carry emigrants bound for Central America, with its steam powering being replaced by diesel engines.
On the “Franca C” I really understood how hard life was for the engineers.
These were the post-war years, when shipowners were struggling to make ends meet. Ships had to be kept on the go, and maintenance was carried out by the engine crew during stopovers, and sometimes even at sea.
I can still remember it as if it were today: when the engineers entered the mess at lunchtime, in stifling heat in the port of La Guaira, with their faces a picture of exhaustion and their stained overalls contrasting with our trim white deck uniforms. The first thing they did was to down the litre of milk they were entitled to in order to counteract the poisonous fumes they inhaled in the Engine Room.
There was a tradition among the engineers: they never spoke about work or what they had done on the main engine at the dinner table; it was a secret to be taken to… the grave… and unfortunately one day this was exactly what happened.


In all my years of navigation, I have got on very well with the engineers. Whether we were on a cargo ship, an oil tanker, or a passenger ship, the engineers were always under pressure, and when we met up in the mess they were always filthy with grease, and I was always clean and lily-white. I always felt a spirit of comradeship with them, maybe more so than with my colleagues on deck.
“Come on Emanuelli – the Chief or First Engineer would say to me- tell us about some of your adventures on land, when you were a famous dancer of rock & roll and the tango; it really helps me unwind after a day spent in the Engine Room”. In those moments I acted on my instinct as an entertainer, and I was happy – not to perform, just to amuse my engineer friends who used to laugh along with me heartily.
“Hey Emanuelli, you’re great; why don’t you go into the movies or the theatre instead of staying at sea?”
At the age of forty I left the sea and arrived in Rome, in the world of the cinema and television. However, I immediately missed the values of my world – the world of seafaring folk – which have been my salvation. And I clung to my memories of the sea as if they were an anchor, recalling the pleas of the engineers:
“Hey Emanuelli, you may be in variety today, but don’t forget that yesterday you were one of us, a seafaring man, a Merchant Captain”.

And they it were who reminded me of that life in the Merchant Marine…my last memory, sadly painful, is of the “Bianca C”, one of my last voyages, bound once more for La Guaira.
The Master was a great man, both as a person and as a sailor; the Chief Engineer was a marvellous person of the highest professional standard. I am not mentioning their names out of respect for what happened on the ship, leaving an indelible mark on their lives.
It was 9 in the morning on 12th October 1961. The “Bianca” had set sail the evening before from the port of La Guaira, and we were anchored off the island of Grenada.
We had just taken islanders on board who were emigrating to England.
When the “Slow Ahead” order came from the Bridge, a big bang – like a bomb exploding – shook the ship and the whole bay.


In a matter of moments the chimney stack was ablaze and enveloped in a thick blanket of black smoke, and then twisted by the tremendous heat rising from the Engine Room.
I have a recollection, an indelible image in my memory: immobile and apparently calm, with the chimney stack burning in the background, the Master orders the abandoning of the ship. In his eyes you can read all the pain and despair he feels for the ship, his men, and all the people on board and under his protection: everything was burning.
Along with the others I ran to the boat deck to organize the abandoning of the ship (there were around a thousand passengers), and suddenly, amidst the general confusion and the terror of the passengers, I was faced with this scene: lying on a stretcher on the boat deck were the two “second assistant engineers”, burnt beyond all recognition, dead.
Numbed by the pain, the Chief Engineer was staring at them helplessly, with the despair of a father in his eyes.
“Chief – and now I am choking inside with maybe even more pain and emotion than in that very moment – Chief, you were a great Chief Engineer, even in your distress, and you and your Seconds were the ones who said to me: Hey Emanuelli, tell us a story…”

I never thought I would tell this story: seamen never speak about accidents at sea – they are lived, remembered, and never forgotten…but silence is the rule and the best option.
This time I have broken the sailor’s taboo because Chief Engineers and all the Engine Room crew deserve our greatest respect: life at sea was hardest for them, more so than for all others.

And I thank Chief Engineers Silvano Masini and Gian Luigi Maggi for giving me the opportunity to do something I had been intending to for a long time.

Dino Emanuelli - Taken from: "Notes of Naval Automation" by S. Masini & G.L. Maggi - Caroggio Publisher (Arenzano/GE).