SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI

Cinque...sei punti luce...
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La strada che da Caricamento porta a Piazza Banchi è via al Ponte Reale. Una strada non piu' lunga di cinquanta metri (nel passato si estendeva molto di piu verso monte) ma abbastanza larga per non prendere il nome di “vico”. Da qui nei secoli d'Oro della Repubblica Genovese transitavano le merci che, sbarcate sul Ponte omonimo, prendevano la via degli scagni all'interno della cinta cittadina.

Contrariamente a quanto il nome potrebbe far pensare, la via prende il nome da un rio (rià, o riale in dialetto) che raccoglieva molto rigagnoli (che scendevano dalla valle di Caffaro) e che fu molto presto coperto fino a mare per ricavarne il percorso Luccoli-Soziglia-Orefici. Terminava con una Porta nelle mura prima della calata e con uno spiazzo che ospitava una fontana a bacile per le esigenze delle navi. Verso la metà del 1800 con la demolizione della porta e l'ampliamento delle calate, la fontana fu spostata in Piazza Colombo ove è tuttora a dimora.

Di tutte le strade che partivano dal vecchio porto medievale verso l'interno questa è certamente la piu grande e quindi fiancheggiata da palazzi importanti. Al numero 1 di Via Ponte Reale, primo piano, c'era la Sede della Società Rimorchiatori Riuniti ed un mattino degli anni 60 salivo quelle scale per rispondere ad una chiamata.

Anni di Petroliere o simili lontano da ogni aggancio sociale mi avevano convinto a tentare una via che in qualche modo non mi facesse perdere il contatto con il Mondo anche a prezzo di intraprendere un modo diverso di esercitare la professione. La cosa non mi dispiaceva. Prima di imbarcarmi come allievo otto anni prima, provenivo da alcuni anni di apprendista operaio in Officine Portuali e del resto fin qui avevo esercitato sporcandomi le mani nelle Macchine del Tempo che certo non richiedevano guanti bianchi. Tuttavia temevo che proprio la qualifica di Capitano di Macchina fosse un impedimento piu' che un merito per sperare nell'assunzione.

Non avevo fatto domande. Il mio futuro suocero (u Batti dell'aegua ) era acquaiolo in Porto, conosceva il Comandante Bozzano nell'Ufficio dei Rimorchiatori di Ponte dei Mille e gli aveva parlato della mia intenzione. La cosa resto' ferma un po', fino a quando il Com.te Bozzano disse au Batti che quando sbarcavo potevo fare un salto in scagno : poteva servire qualche patente superiore ai 1000cv per le nuove “Barche” e le assunzioni erano di pertinenza esclusiva e diretta du Sciu Bianchi e du Sciu Gavarun a Ponte Reale .

Ricevo la comunicazione a New York imbarcato sul Nando Fassio da D.M. e faccio subito presente alla Società che all'arrivo in Italia devo presentarmi ai Rimorchiatori dove probabilmente avrei trovato collocazione. Tutti mi dissero se ero scemo (veramente dissero “ abelinou”) e che lasciare quella posizione per spalare carbone era una “cazzata” colossale, e che comunque sui rimorchiatori di alto mare la vita era dura e difficile.

Ma ormai avevo deciso. La mancanza di contati sociali…il matrimonio prossimo…il mondo che si muoveva e che io a malapena registravo dal giornale del Marconista (quando si degnava di prenderlo)…tutto cominciava a pesarmi…ero deciso a fare qualcosa di diverso. Tutte queste cose turbinavano nella mente mentre salivo gli scalini e la tentazione di tornare sui miei passi era soffocata dalla novità che andavo a conoscere. Appena terminata la rampa di scale sulla destra c'è la porta di ingresso. Una bella porta in legno massiccio, in stile Navale direi, la metà superiore è in vetro smerigliato con la scritta “Società Rimorchiatori Riuniti” in semicerchio e bella calligrafia corsiva, e “Genova” nel mezzo orizzontalmente.

Una solida maniglia ed una piccola scritta posta sul vetro “avanti” invitano ed incoraggiano ad entrare senza l'ausilio di batacchio o campanello. La cosa mi piace. Ero abituato ad uffici armatoriali piu moderni….anonimi….asettici, qui mi è sembrato piu famigliare…piu marino…rassicurante se vogliamo. Ormai è fatta. Aziono la maniglia…socchiudo la porta…un campanellino trilla brevemente annunciando che la porta sta aprendosi.

L'interno era come mi attendevo dall'aspetto della porta. Arredato in stile navale vecchia maniera tirato a lucido…silenzio…senso di discrezione…un bancone sulla destra ed una signorina (la signorina Dora) che premurosamente si avvicina e con molta gentilezza si rivolge a me, accenna ad una poltrona e si allontana per annunciarmi.

Ritorna nel giro di meno un minuto per accompagnarmi nella “Sancta santorum” dei Rimorchiatori. Una stanza grande…luminosa per due grandi finestrature che davano su Piazza Caricamento dalla quale, pur trafficata, non saliva alcun rumore…le pareti interamente rivestire in mogano lucidissimo…l'arredo sobrio e rigorosamente marino in ogni dettaglio…pochi i quadri di argomento navale e si intuisce di ottima fattura.

Al centro un grande tavolo completamente sgombro. Dietro il tavolo due figure elegantemente ma sobriamente vestite, una seduta su una sedia con alto schienale con le mani posate sul tavolo, l'altra in piedi con una mano sulla spalliera della sedia e l'altra posta sul tavolo. Entrambi non mi diedero la mano e fecero cenno di sedermi su una sedia che mi sembrò messa a bella posta per l'occasione.

La persona seduta era non piu giovane, capelli interamente bianchi, aspetto disponibile ma attento e deciso, vestito classico grigio chiaro e dal panciotto si intravedeva una catena d'orologio, probabilmente non era molto alto di statura. Questi era il Presidente della Società, il Signor Attilio Bianchi, u Sciu Bianchi.

In piedi era il Signor Giovanni Gavarone (u Sciu Gavarun) uno dei maggiori azionisti. Decisamente piu' giovane, di alta statura, leggermente stempiato, un comportamento aristocratico e staccato, con un sorriso appena sfumato…mi parve molto bonario… vestiva uno spezzato perfetto di taglio piu sportivo. Ed eccomi al cospetto du Sciu Bianchi e du Sciu Gavarun nella sancta santorum .

Sarebbe stata questa la prima e l'ultima volta che avrebbe dovuto accadermi nella lunga militanza nei Rimorchiatori, cosi come è successo a tutti i dipendenti che trattavano solo per interposta persona. Un altro approccio del genere avrebbe significato guai. Ed a me successe. Il colloquio fu brevissimo, forse cinque minuti, e si svolse in dialetto genovese con l'uso del “vu-scià”.

Il “vu-scià” (che potrebbe stare per “vossignoria”) ha un uso molto particolare ed è il pronome dei rapporti fra la classe alta genovese. Usato fra pari-dignità rappresenta il massimo della gentilezza, ma usato verso inferiori può suonare sarcastico e persino irridente. E' d'obbligo all'inferiore di rapportarsi al superiore esclusivamente con il “vu-scià” offerto con molta deferenza, meglio col cappello in mano.

Non era raro al benestante che porgeva elemosina dare del “vu-scià” al mendicante nell' informarsi del suo stato di indigenza, quasi a volerlo elevare al suo livello scusandosi ipocritamente della diversità. Il senso del “vu-scià” corre tutto sul filo dell'intonazione che viene data alla frase: può suonare di gentilezza estrema come di profonda offesa ed è quindi di uso difficile e attento alle sfumature; in ogni caso marca una differenza, mette dei paletti nel rapporto con l'interlocutore.

Gli altri due pronomi del dialetto sono “vui' ” (voi) e “le” (lei) . Il primo presuppone un rapporto di conoscenza e di rispetto (tipico il “vui'” verso i genitori); il secondo (storicamente recente con la diffusione della lingua italiana) è di esclusivo uso corrente della classe medio-bassa genovese (il popolino). Nel colloquio in corso il “vu-scià” ebbe un tono che marcava fortemente la distanza pur mantenendosi ai limiti della gentilezza formale e fu tenuto quasi esclusivamente da u Sciu Bianchi.

Il tempo di significarmi la vita dura delle “Barcacce” ed informarmi che c'era da sporcarsi le mani e non c'era spazio per fare la signorina come sulle Navi (ma chi aveva mai fatto la signorina ?!). Avuto risposta che ero preparato a quanto mi attendeva, giunse ipso facto la conferma della mia assunzione e l'invito a passare dalla Signorina Dora per le pratiche del caso. In realtà la Signorina si limitò a dirmi di andare a Ponte Parodi in Porto, sede dell'Ufficio Operativo, dove avrebbero sbrigato le pratiche necessarie.

Dopo un breve saluto di rito, mi guardai dal tendere la mano che mi sembrava un sacrilegio, mi alzai e nell'ingresso ricevei un bel sorriso dalla Signorina Dora che mi parve soddisfatta dall'esito del colloquio ed una gran brava ragazza, il tempo lo confermò. Quindi ero assunto. Tutto nel giro di pochi minuti cambiò la mia vita futura, avevo rinunciato ai gradi ed al prestigio delle grandi navi ma mi ero agganciato anche alla vita speranzoso di vivere esperienze diverse.

Ed in parte cosi fu anche se a costo di impegno forse maggiore, ma questo allora non lo potevo sapere ed era solo una speranza.

Eccomi a Ponte Parodi. Eravamo in due Macchinisti nuovi assunti: io destinazione “Canada” , l'altro (non ricordo il nome) subito “Olanda” e poco dopo a Riva Trigoso a seguire la costruzione del “Brasile”.

Il varo del rimorchiatore Brasile nel 1961/Launching of tugboat Brasile on 1961

In verità non c'era molto modo di sporcarsi le mani nell'impiego portuale (diverso, molto diverso, sarà in altura ). Il servizio di rimorchio, nell'indaffarato Porto di allora, non lasciava spazio ad interventi alternativi: dieci-dodici rimorchi al giorno erano la norma, e ciascuno prendeva di media un'ora di tempo, per cui la manutenzione era eseguita dall'Officina di Ponte Parodi. E qui, per la comprensione degli eventi che andrò a descrivere, è necessario soffermarci sull'organigramma tecnico vigente nella Società.

Il Capo dei lavori a Bordo era Pescio, un anziano motorista, capace quanto bastava e furbo come una volpe, la cui preoccupazione principale era quella di evitare i trabocchetti qua e la sparsi in un ambiente di stampo padronale. Con Pescio , dopo un momento di studio, ci legò una stima reciproca fino ad arrivare al “tu” e piu tardi all'invito alle nozze della figlia. Il Capo Officina un certo “Giulio” , un fossile di tarda età, rimasto al secolo scorso il cui unico impegno era quello di evitare la spesa : lampadina rotta per lampadina nuova, pila consumata per pila nuova…e via dicendo.

Entrambi alla sera partivano da Ponte Parodi ed andavano a relazionare in scagno ai Padroni ed a u Sciu Carbun (il Signor Carbone). U Sciu Carbun , ovviamente di età avanzata ex Macchinista dell'Italia , avrebbe dovuto essere il Direttore Tecnico, in realtà non capiva niente e non contava nulla…e gli andava bene cosi…la sua unica preoccupazione era quella di essere agganciato al “vu-scià” verso i Padroni, che credo ne ignorassero l'esistenza.

Tutto questo ha un preciso senso in quello che vado narrando e non è messo qui per fare del colore. Un mattino mi chiamano da Ponte Parodi per mandarmi a Riva Trigoso a terminare l'allestimento del Brasile.

Da alcuni giorni il Macchinista non si presentava in Cantiere e non c'erano notizie in merito. Le notizie giunsero alcuni giorni dopo quando fu trovato impiccato nella sua stanza in una piccola locanda del centro storico. Ci eravamo appena sfiorati il primo giorno di assunzione e di lui non avevo la piu piccola informazione personale. Ne fui comunque scosso e dispiaciuto. Cosi restai a Riva a terminare l'allestimento.

Da Macchinista di Navi cercai di fare apportare quelle modifiche che ritenevo giuste e non comportavano esborso aggiuntivo. Ma per una modifica si rese necessaria l'autorizzazione in quanto non prevista in specifica: si trattava di portare la luce di emergenza nei locali abitati con la usuale tecnica allo stato dell'arte.

Sui rimorchiatori portuali gli equipaggi si erano ingegnati con un fai-da-te ad illuminare queste zone con cavi volanti e soluzioni precarie e pericolose, pensavo che su un rimorchiatore nuovo fosse giusto e conveniente realizzare una illuminazione piu sicura.

Si trattava della cucina, la saletta, la cabina Comandante e Direttore di Macchina, la camerata dei comuni, in tutto cinque punti luce serviti da relativi interruttori ed un quadretto in Macchina con le protezione adeguate. Ne parlai seguendo la scala gerarchica Pescio-Giulio e dopo alcuni giorni ottenni il permesso ed il lavoro si concluse. L'allestimento ha termine e si va in prova. Durante le prove il Motore, per cause che adesso non è il caso di spiegare, va in “precipitazione” vale a dire una sovravelocità incontrollata che può concludersi con l'esplosione.

Tutte le valvole di sicurezza, cilindri e portelle, si aprirono ed in breve la Macchina fu invasa da un fumo impenetrabile ed acre. Ci fu un fuggi-fuggi generale ostacolato dalla ristrettezza degli spazi nell'attesa della deflagrazione. Io ed il Capo Operaio del Cantiere ci trovammo ultimi in questa ritirata ed ancora lontano dalla sfuggita, ci guardammo negli occhi e con una decisione senza parole, tenendoci per mano e col fazzoletto alla bocca, a tentoni andammo a poppa attraversando il Motore che rombava fragorosamente e riuscimmo a raggiungere la valvola della nafta. Qualcuno dalla coperta aveva già tentato la chiusura a distanza, ma il cavetto si era rotto impedendo la manovra.

Il tempo di consumare la nafta nel tubo ed il Motore si fermò sobbalzando, lentamente il fumo si dissipò e ci trovammo seduti a pagliolo senza sapere se ridere o piangere. Era andata bene. Era andata bene, ma il Motore dovette essere smontato pezzo-pezzo per controllare che non avesse sofferto: vale a dire altri tre mesi di Cantiere, ma questa volta a Genova.

In virtu del nostro operato il Cantiere riconobbe, a me ed al Capo Operaio, un premio che nel mio caso rappresentava un mese di lavoro, circa 200.000 lire in parte spesi per un pranzo con l'equipaggio. Passa il tempo ed il Brasile prende a lavorare in porto ed in altura. Un bel giorno da Ponte Parodi mi informano che u baccan (Sciu Bianchi) vuole parlami e presentarmi a Ponte Reale alla prossima franchigia (fra due giorni).

Anche se poteva non essere un evento per forza infausto, quella notizia circolò sui bordi come una condanna e vissi due giorni a Bordo da appestato. Il fatto che potessi essere gratificato per il pericolo scampato non mi passava neanche per la testa, e non lo pensava nessuno.

Per lo stile della Società quella poteva essere solo una cattiva notizia. Due giorni dopo risalgo le scale che avevo percorso sei mesi prima, cercando di non pensare nulla anche perché non avevo nulla a cui pensare. Maniglia…porta..tintinnio…Dora, gentile come sempre ma con una faccia da funerale…accompagnamento immediato nella sancta santorum.

La scena è identica a quella descritta la prima volta, sembrava che il tempo si fosse fermato a quella fotografia, non un particolare diverso…anzi, no, qualcosa di diverso c'era…mancava la sedia su cui ero stato fatto sedere….se avessi avuto il cappello forse lo avrei tenuto in mano. Come d'uso la parola a u sciu Bianchi che parte da molto lontano sempre in genovese e con un “vu-scià” che mi sembra questa volta piu' caricato (ricordate l'accenno al mendicante? rileggetelo).

<….la Società ha una fiducia incondizionata nei suoi dipendenti ed esige che sia ricambiata, è disponibile al dialogo ma non permette licenze…..>

Dove volesse arrivare era per me incomprensibile, ripassavo con la mente ogni dettaglio della mia presenza nella Società senza intravedere il piu piccolo riferimento a quanto andavo ascoltando.

<….anche in presenza di atti coraggiosi il nostro giudizio è comunque subordinato al rapporto fiduciario con la Società, per il quale siamo intransigenti…..>

Ormai non ascoltavo neanche piu conscio di essere arrivato alla fine di questo percorso professionale, quando lentamente prende forma la motivazione.

<…vu-scià ci ha chiesto di dotare il Brasile di cinque punti luce e noi abbiamo accondisceso alla giusta richiesta che comunque ci è costata una certa somma (!), ma ci giunge notizia che i punti che “vu-scià” ha fatto installare sono sei . Questo per noi è una trasgressione intollerabile che dobbiamo censurare con forza e speriamo che in futuro non ci venga a mancare la stima che riponiamo nel nostro personale (cioè, io)>.

In quel momento la mia natura di ribelle non poteva essere trattenuta oltre, abbandonai il “vu-scià” per passare al “voi” (erano in due, altrimenti sarei passato al piu' proletario “lei”).

<… io ero sicuro di non aver disatteso al mandato ma sarei andato a bordo a verificare. E quanto al futuro, se davvero i punti erano sei, questo non ci sarebbe stato: facessero conto che su quel tavolo ci fossero le mie dimissioni. Buongiorno.>

Un saluto alla Dora che mi accompagno alla porta come alle esequie e fui in Via Ponte Reale.

Non pensavo a niente, completamente svuotato. Mi incamminai verso la Costa Armatori in Piazza Dante e presentai domanda di imbarco. La mattina del giorno dopo arrivo a Bordo prima del Motorista. La Barca è spenta. Prendo le chiavi nascoste dietro una luce in coperta. Apro la porta ed accendo la luce di emergenza…le due luci poste sopra i due tavoli separati si accendono… ….e nella mia mente si accende la luce della comprensione…tutto si fa chiaro.

Unico fra gli altri rimorchiatori, il Brasile ha il tavolo sdoppiato per la particolare disposizione della Saletta con al centro un condotto che porta cavi e manovra sul Ponte. Giustamente il Cantiere ha messo due plafoniere di luce normale e giustamente ha qui inserito due lampadine di emergenza…nessuno di noi mai aveva fatto caso a questo insignificante particolare…ma qualcuno si.

Il rimorchiatore Brasile/The tugboat Brasile

Le zone illuminate erano cinque ma le lampadine erano sei.

Appena possibile agguanto Pescio (eravamo ancora al “lei”) e gli faccio conoscere la cosa….non mi importa la miseria di una delazione stupida ancor piu che cattiva...

<… io non ci ritorno a Ponte Reale, ma Lei stasera spiega questa cosa ai Padroni. Non me ne frega niente dell'esito, so già cosa fare… >.

A Bordo silenzio di tomba. Nessuno mi chiede ragione ed io non dico niente. Il trattamento è quello riservato ad un moribondo. Passa un giorno e da Ponte Parodi informano che c'è una busta per me. Terminato il rimorchio vado in Ufficio e ritiro la busta. La metto in tasca ed uscendo mi è sembrato che qualcuno recitasse un requiem . Non poteva fregarmene di meno, ormai ero su una nave di Costa che arrivava fra due settimane.

Salgo a Bordo e la giornata prosegue come se nulla fosse accaduto, agli occhi interrogativi dell'equipaggio ero indifferente e gioviale come al solito. Al termine del servizio, è sera tardi, faccio su fagotto, che poi erano due stracci da lavoro ma molti libri, e scendo da bordo che quelli di Coperta se ne sono già andati. A Bordo c'è ancora Duccio il motorista che deve spegnere il gruppo. Duccio, una brava persona che si è prodigato al massimo per iniziarmi al nuovo mondo delle Barcacce …non era mai successo, ma stasera lo attendo in banchina.

Il Brasile dondola dolcemente…è una bella barca …cosi ancora illuminato fa una bella figura…la pittura nuova di Cantiere risplende non ancora deturpata dalla picchetta che non tarderà ad imperversare. Al confronto con le barche affiancate mi sembra la Vespucci. Il gruppo cala di giri, le luci si smorzano fino a spegnersi, il gruppo si arresta…buio e silenzio…soltanto i passi di Duccio sul plancito che sta risalendo…il rumore sulla precaria passerella…ed è qui davanti a me sorpreso della presenza, o forse no. Senza una parola ci diamo la mano…ognuno per la sua strada…con la mia “Topolino” mi avvio verso casa pervaso da un senso di stanchezza e di sconfitta.

Soltanto a casa apro la busta, con comodo. La apro con molta e studiata lentezza, non so se per mantenermi ancora legato al mondo che stavo perdendo o per la mia solita imperturbabilità nel pericolo anche se dentro la paura bussa forte. Dentro: un biglietto piegato, una lettera intestata con la bella calligrafia della Società Rimorchiatori Riuniti Genova ed un'altra busta sigillata.

La lettera < Con piacere ci congratuliamo per il coraggio dimostrato. F.to Bianchi/Gavarone>.

Nello busta 100.000 lire. Nel biglietto < Sono contenta, ma non dubitavo.Dora > Un groppo mi ha preso alla gola ed a stento ho trattenuto le lacrime, il senso di pesante stanchezza prende il sopravvento ed un sonno profondo pone termine a questo evento. Non risposi a quella busta, mi sembrava piu giusto e doveroso il silenzio.

Il tempo passa.

Ho avuto esperienze professionali diverse ed interessati…terminato il percorso Universitario di storia antica…partecipato a vicende sociali, sindacali e politiche da modesto protagonista… conosciuto Uomini di varia e diversa estrazione…vissuto quanto non avrei potuto se fossi stato perennemente in navigazione… e questo grazie anche alla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova.

I Signori Bianchi e Gavarone non ebbi mai piu occasione di rivederli in forma ravvicinata e personale, ma fui presente in tempi diversi alle loro esequie. Solo, in disparte, senza ascoltare messa ed omelia, ricordando quel momento passato che tanto ha segnato la mia vita…il groppo di allora era lo stesso groppo di adesso. Gentiluomini di antico stampo , capirono la situazione e certo ebbero commiserazione e disprezzo per quei delatori da strapazzo. Con loro se ne andava un pezzo della mia vita e forse il piu importante, il pezzo che oggi mi fa dire con modestia: ho vissuto.

cinque…sei punti luce un insegnamento che mi ha accompagnato tutta la vita nel misurare gli Uomini nella loro grandezza e nella loro miseria. Senza giudicare.

PS . Anche per quelle 100.000 lire ci fu un pranzo per l'equipaggio che si sciolse finalmente in un calda liberatoria testimonianza di solidarietà, trattenuta fin qui per rispetto al mio comportamento.

 

CSDM Silvano Masini (1/2007)