SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI

Lontani ricordi

(testo di un Socio)

Ricordo che , nel Dicembre 1929, partiti con un carico di carbone da Cardiff per Genova con il "Maria Rosa", un, per-i-tempi, grosso carrettone di 9.000 tonnellate appartenuto alla Blue Funnel, avevo a bordo mia moglie.

Appena entrati in Guascogna, incontrammo un tremendo fortunale da Sud Ovest. Rimanemmo alla trinca per moltissimo tempo, enormi colpi di mare sul castello e sulla boccaporta della stiva numero uno. Fortuna volle che il boccaporto resistette; tutti gli angolari di supporto delle galeotte erano stati rinchiodati durante l'ultima permanenza a Genova e i panneaux erano i più buoni tra quelli che sitrovavano a bordo e così le incerate che erano in numero di tre, tutte nuove o in buono stato.

Agli Ufficiali di guardia sul ponte, ad ogni ondata un pò più forte, la faccia diventava bianca come un lenzuolo. Io mi ero dimenticato completamente di mia moglie che era in cabina e che non mi vide un momento in tutta la notte. Verso mezzogiorno, messa in allarme per la mia assenza, si fece forza e salì sul ponte: non soffriva il mal di mare e non mi sembrava avere paura.

Il Marconista mi riferì di aver intercettato qualche "SOS", senza però poter dare altri più precisi ragguagli. La cucina era chiusa poichè era impossibile tenere i fuochi accesi e le pentole sulla cucina che, malgrado le barre antirollio, cadevano a terra. I colpi di mare, dopo aver infranto le porte del salone, avevano invaso i corridoi e le cabine.

Alla sera il temporale passò ad Ovest e ci permise di toglierci dalla situazione critica tracciando una rotta che ci portava a passare a 20 miglia al largo di Capo Finisterre.

Senza ulteriori guai, arrivammo a Genova proprio prima di Natale. Recatomi in ufficio, trovai tutti gli armatori schierati in attesa di sapere qualche notizia sul terribile uragano e come avevamo fatto a sfuggire al pericolo. Mi informarono che il "Chieri" della Società Meridionale, si trovava carico di minerale nei nostri paraggi ed era affondato con la perdita dell'equipaggio, eccetto il Comandante ed il Mozzo che avevano avuto la fortuna di trovare una piccola lancia che serviva per la pratica ed erano stati raccolti da un peschereccio francese.

Sempre con il "Maria Rosa" incappai ancora in un fortunale improvviso da Nord-Nord Est, che dall'altezza delle Isole Azzorre, ci obbligò a fuggire col mare in poppa per più di tre giorni e tre notti e ci ridusse a Sud del parallelo delle Canarie. Eravamo partiti da Baltimora con un carico di carbone direto ad Alessandria d'Egitto e mi sembra fosse nel mese di Marzo 1930.

Mi ricordo di un viaggio particolarmente scalognato compiuto a bordo del piroscafo "Maria Enrica", imbarcato come Terzo Ufficiale. Eravamo in navigazione a circa 400 miglia da Capo Henry, in zavorra, diretti a Norfolk in Virginia per caricare il solito carbone. Una sera, mi ero appena buttato in cuccetta dopo la guardia da mezzanotte alle quattro, quando la nave cominciò a scrollare e sussultare tutta. La macchina venne subito fermata e tutti si diedero da fare per cercare di scoprire le cause degli scossoni. Perlustrarono da prua a poppa e finalmente ci accorgemmo che la nostra elica, che aveva le pale riportate, ne aveva perduto ben due, una vicino all'altra.

Mentre transitavo in coperta, dirigendomi verso poppa, incontrai il nuovo imbarcato, chiamato da tutti "Matè u rangu", un tipo ben conosciuto al paese e che si era imbarcato per disertare all'arrivo in America e fare fortuna con il suo mestiere di parrucchiere. Lo trovai con una valigetta e gli chiesi cosa intendesse fare. Mi rispose che stava dirigendosi verso la lancia di salvataggio in modo di essere pronto in caso di abbandono nave e che nella valigia aveva un paio di scarpe speciali costruite apposta per i suoi piedi, perchè senza di quelle non avrebbe mai e poi mai potuto camminare.

Intanto la macchina era stata messa avanti a modo lento e da poppa si sentiva l'elica che vibrava dei bruschi colpi alternati da brevi tratti di silenzio. Decidemmo di proseguire in questo modo e come Dio volle, giungemmo a Newport News direttamente nel bacino di carenaggio per le riparazioni.

Intanto il "Matè u rangu" fu pregato di aspettare a disertare l'ultima notte, dopo che il vapore avesse finito di caricare il carbone e dopo la visita dell'Immigrazione, in modo da non incorrere nelle gravi penalità previste dalla legge americana. Così fu fatto e il "Maria Enrica" partì senza il Garzone di Cucina.

"Matè u rangu" al paese era molto conosciuto e alcuni dicevano che la gita in America fosse stata organizzata da alcuni che preferivano non averlo più vicino. Passeggiavo un giorno in Corso Regina Margherita, sbarcato dopo ul lungo imbarco per riposarmi, quando incontrai proprio il Matè. Gli chiesi come si era trovato negli USA e lui contranquillità mi rispose che laggiù i dollari c'erano e che ce n'erano molti, ma passavano molto alti e lui, con il suo piede sorto, non era riuscito ad acchiapparli. Era stato sorpreso in un locale dalla polizia chiamata a sedare una rissa e, trovato senza documenti, venne processato. Riuscì a convincere il probo giudice americano dicendo che la sua non era stata una diserzione, ma una semplice scalogna: recatosi la sera prima della partenza a terra, aveva incontrato una donna, la quale, affascinata dalle sue capacità amatorie, non l'aveva più voluto lasciar partire e per questo gli aveva nascosto le sue scarpe speciali, senza le quali non poteva in nessun modo camminare; la nave era partita e lui era dovuto rimanere con la donna.

E così il Matè se ne ritornò a casa con il transatlantico e contonuò a vivere come era stato sempre abituato.

Mi ricordo che sul "Maria Adele", un grosso cargo che aveva una portata di più di 11.000 tonnellate, tutti gli Ufficiali di coeprta e macchina erano del mio stesso paese e quindi si navigava come se si fosse stati in Piazza Schiaffino. Anche molti dell'equipaggio erano paesani e in verità, abbiamo vissuto abbastanza bene per tutto il tempo dell'imbarco e dopo un pò di tempoeravamo a conoscenza di tutti i "ceti" del paese, anche di quelli che sarebbe stato meglio non conoscere, ma nel complesso non si verificò alcun incidente.

Partiti da Rotterdam per il Nord America in zavorra, per risparmiare tempo ci tenemmo alti, passando ben a Nord delle Azzorre , ma incontrammo uno "storm" maledetto che copriva tutto l'Atlantico e rimanemmo per più di un giorno senza governo, scarrocciando tanto che in un giorno riuscimmo di fare decine di miglia all'indietro. Il carrettone teneva bene il mare, ma dava certe rollate da far paura. In America a quei tempi, c'era la proibizione di vendere, comprare e naturalmente consumare l'alcool, il famoso Dry e perciò il vapore era carico di bpttiglie di whisky e cognac, tanto che tutti potemmo guadagnare dei bei dollari.

Ritrovandoci dopo tanto tempo al paese, era diventata consuetudine raccontarci raccontarci le peripezie del cattivo tempo e del guadagno dei dollari, tanto da essere diventati così monotoni che, quando ci vedevano insieme, tutti scappavano via dicendo: "adesso parlano del cattivo tempo e dei dollari ed ogni volta aumentano sempre sia i dollari che i colpi di mare".