SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI

Il sale del nostro mestiere: la navigazione stimata
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“La navigazione è l'arte di condurre un mezzo, da un punto di partenza ad un punto d'arrivo, attraverso percorsi non tracciati.”

(anonimo professore di scuola nautica)



Il faro di Great Abaco, Bahamas/The Great Abaco lighthouse

Oceano Atlantico, 4 Maggio 1970 – Ore 5:00

La nave portarinfuse procedeva finalmente verso le Bahamas con velocità sostenuta dopo aver subito per sette giorni una maledetta burrasca che l'aveva accompagnata quasi per tutto il suo viaggio iniziato da Gibilterra. La sua destinazione era New Orleans, nel Golfo del Messico.
Sfortunatamente, non era stato possibile effettuare osservazioni stellari col sestante, per cui, in quei sette giorni, s'era navigato “a stima”, cioè tenendo conto del tempo trascorso, della velocità mantenuta e della rotta seguita. Purtroppo quei parametri erano diventati poco affidabili dopo tutto quel tempo durante il quale non si determinava un punto nave sicuro. In quelle condizioni, solo i navigatori più esperti riuscivano a mantenere minimo l'errore di stima, cioè la distanza tra dove si credeva di essere e dove effettivamente ci si trovava.

Il comandante era un marinaio di stirpe tradizionale e tutti gli ufficiali che si trovavano in plancia quel mattino non avevano dubbi che alle 5 e 15 minuti si sarebbe vista, verso prora, la potente “sciabolata” del faro dell'isola di Great Abaco, come previsto dai calcoli stimati del capitano. Essendo le Bahamas terre basse, il vecchio radar ne avrebbe dato riscontro solo quando s'era a poche miglia di distanza. Il cielo era nuovamente nuvolo come nel resto di quel viaggio. Questo significava, un'altra volta, la reale difficoltà di ottenere una posizione nave certa. Il comandante era perciò impegnato in un continuo andirivieni tra la sala carteggio e l'aletta del ponte, cercava conferma dei suoi ragionamenti verificando gli strumenti, ascoltando i commenti del Primo Ufficiale e “compassando” ripetutamente la carta nautica. Era nervoso, l'orizzonte scuro e lo schermo radar senza bersagli gli rendevano quell'attesa oltremodo stressante. Persino il gracchiante ed impotente radiogoniometro pareva aumentare quella tensione. L'eco strisciante dello scandaglio elettrico rimbalzava senza nessun riscontro di profondità, chissà se l'avrebbe dato all'approssimarsi del bassofondo. Egli temeva che, se i suoi calcoli stimati fossero stati errati di molte miglia, la nave avrebbe potuto arenarsi sui banchi sabbiosi di quelle isole! In plancia, l'apprensione del “non sapere dove si era” si poteva tagliare col coltello...

L'introduzione precedente rappresenta in maniera molto schietta l'atmosfera di plancia di una nave mercantile durante una traversata atlantica prima dell'uso del GPS (Global Positioning System). Questo apparato ha infatti stralciato dalla professione del navigatore gran parte della sua preparazione marinara, la gestione della navigazione stimata.
Ormai sappiamo bene che la tecnologia è spietata: il tempo risparmiato per lo stress della determinazione del punto nave è sostituito da quello dei sistemi informatici, per cui si può affermare che a bordo delle navi “non si lavora di meno, ma si lavora diversamente da prima”.


Un apparato GPS/A GPS device

La suddetta professione del navigatore veniva (e viene), come si sa, forgiata inizialmente dalla scuola nautica. Successivamente erano gli anni di carriera in mare che lo mettevano in condizione di condurre l'unico tipo di navigazione possibile in mare aperto, quella stimata appunto. Tutte le altre tecniche insegnate a scuola (punti nave stellari, radiogoniometrici, eccetera) non erano altro che degli occasionali mezzi per confermare la bontà di quella maniera di andar per mare. Va qui detto per inciso che l'aspetto teorico della navigazione stimata viene ancor oggi insegnato nelle scuole nautiche, poichè questo bagaglio professionale è ancora previsto dalle normative internazionali.

L'antenna di un radiogoniometro/A radio direction finder (RDF) aerial

Ma quali erano i parametri pratici della navigazione stimata che il navigatore e, in ultima analisi, il comandante, doveva conoscere alla perfezione?
Come detto precedentemente si trattava generalmente di velocità e tempo trascorso, rotta seguita. Per quanto riguarda quest'ultima, il navigatore calcolava con la massima precisione le influenze magnetiche della bussola oppure ne verificava l'errore, poi quantificava lo spostamento della nave dovuta a vento e correnti; inoltre doveva conoscere bene il lavoro del timoniere (se tendeva cioè a “governare” più a sinistra che a dritta per esempio). La velocità invece era controllata sovente con il solcometro che era però generalmente impreciso. Infine, non doveva essere dimenticato il comportamento della propria nave in condizioni meteomarine avverse.
Insomma, più la stima era precisa e più la nave era in sicurezza. Da qui il buon numero di anni della suddetta esperienza per imparare ad essere esperti navigatori di stima .

Punto stimato: l'area verde è quella dove il navigatore presume di trovarsi dopo aver navigato con un possibile errore di rotta di 2° (a sinistra o dritta) e con un errore di velocità che copra un ventesimo della distanza totale percorsa/Dead recknoning navigation: the navigator assumes to be inside the green area

Oggigiorno, come ormai in tutti i campi commerciali, anche sulle navi ci si dedica di più alla gestione tecnologica ed alle sue molteplici problematiche e si tende a perdere invece quello schietto contatto coll'elemento base del nostro mestiere, il mare. Quest'ultimo è ormai declassato a groviglio di percorsi digitali, degni di un satellitare da automobile e non del maestoso regno delle vie non tracciate.
Ma ora continuiamo il racconto iniziale.

Oceano Atlantico, 4 Maggio 1970 – Ore 5:15

...Il comandante era incollato coi binocoli al “chiarovisore” che spazzava via colla sua rumorosa rotazione la pioggia battente. La visibilità dell'orizzonte buio spariva e tornava, i suoi occhi lacrimavano profusamente per scrutare quel vuoto invano. Gli altri ufficiali e il timoniere di vedetta scrutavano anch'essi i settori prodieri, ma della “sciabolata” del faro, nessun segno. Ad un tratto, l'allievo, con voce timida e tremante rompeva il silenzio: “eccolo! Un flash ogni 4 secondi, 10° a sinistra!”

I binocoli degli ufficiali puntavano simultanei in quella direzione: il giovane cadetto aveva visto giusto! Dopo i rallegramenti reciproci ed il conseguente scarico di stress, si corregeva di pochi gradi la rotta, con la soddisfazione di non aver perso tempo in quel viaggio. La nave continuava quindi la sua via sicura e tutti erano contenti sapendo che il loro capitano, ancora una volta, aveva dimostrato di conoscere veramente il mare e la sua nave!

Le emozioni sopra descritte, contornate da un sottile senso d'avventura e di fiction, sono rare da verificarsi oggigiorno. Nell'asettica plancia, lo schermo del monitor del VMS (Vessel Management System) interfaccia i dati del GPS, quelli del radar, dei parametri di movimento, dell'AIS (Automatic Identification System), eccetera. In mare aperto, il navigatore controlla freddamente solo l'operato di quella formidabile macchina informatica. Non ci sono sorprese nella condotta della navigazione, tutto è come deve essere e se ce ne fossero, un discreto allarme gliene darebbe immediato avviso. Nel frattempo, il comandante, nel suo ufficio, controlla le e-mail della Compagnia armatrice e degli Agenti marittimi, gestisce i vari dipartimenti di bordo, verifica i documenti del carico ed i certificati della nave. Va meno sovente sul ponte poichè sa che è coadiuvato da buone ed affidabili mani, sia professionali che tecnologiche.


Un moderno ponte di comando/A modern navigation bridge

Ogni tanto, prima di andare in palestra, apre l'ultimo cassetto della sua scrivania: dentro c'è il prezioso sestante che usava quand'era giovane ufficiale: i regolamenti marittimi lo prescrivono ancora come strumento di "supporto" alla navigazione.
Al pari di un pittore o uno scultore, lo paragona con nostalgia ad un inutile attrezzo di lavoro per un'arte che non c'è più.

Testo e grafica: Com.te Bruno Malatesta 3/2007