SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI

Camogli marinara

Laura De Cet Tienforti vive a Camogli e conosce bene la sua città. Nel 2008 aveva preparato il seguente articolo - a sfondo turistico/storico - per una casa editrice svizzera. Lo scopo dello scritto era una ricerca di materiale per promuovere Camogli e data la sua passione per il mare e la navigazione, decise di impostarlo appunto su parte della storia della marineria mercantile a Camogli.
Laura si recò più volte nel nostro magnifico Museo Marinaro per raccogliere i dati dei diari di bordo e i documenti relativi. Alla fine della ricerca, decise di non pubblicare l'articolo ma di donarlo alla Società.
Ringraziamo Laura per il suo contributo alla tradizione marittima e le auguriamo di continuare a scrivere straordinarie cose di mare!

Camogli marinara
di Laura De Cet Tienforti
ad Alessandro

…Cantò la nostra voce
dei popoli redenti e dei cantieri
del libero lavoro e delle menti
libere incontro al libero avvenire.
(A.G.Parodi Il Canto degli Eroi del Mare)

Il silenzio in questa baia è la vita. Si dimenticano le sensazioni più carnali; si dimentica il tatto. Si guarda l’orizzonte. Domani farà caldo. Rumore di vele gonfiate dal vento; capelli impregnati di salsedine; scricchiolio di tavole di legno; boato del mare contro la chiglia; antico sapore di galletta umida e il veliero avanza verso il porticciolo di Camogli.
Dalle finestre dell’ammasso di alte case colorate la gente saluta la baia e le mogli i propri marinai.
Tra gli sguardi curiosi e commossi di chi non si abbraccia da troppo tempo, si notano quelli degli armatori fieri della flotta camogliese.
Un piccolo molo di fronte a Cala Inferno; l’impervia imboccatura del porto; il mare verde scuro; una scogliera minacciosa e l’imponente Castello della Dragonara invitano i naviganti ad entrare con prudenza.
Donne con occhi affamati d’amore corrono verso Piazza Colombo e la folla alza al vento i fazzoletti per dare il benvenuto ai marittimi.

Era questa una delle più tipiche scene di vita della città dei Mille Bianchi Velieri nel 1800, ma anche oggi arrivando a Camogli è facile immedesimarsi in un passato ricco di tradizioni marinare. Pare proprio che il nome della cittadina, alla quale tale titolo venne attribuito nel 1877, derivi da due parole “cà” (casa) e “muggé” (moglie), cioè casa delle mogli, proprio perché un tempo tutti gli uomini erano in mare ed era compito delle signore badare agli averi e alla casa. Ma esistono altre due teorie, la prima sostiene che il nome derivi dal dio Camùlo, del quale i primi abitanti di Camogli trapiantarono la statua; la seconda che discenda sempre dal dialetto “cà” e “moggi” (mucchi).

Il dondolio dei gozzi e i pescatori che cuciono le reti sul braccio del molo, accompagnano lo sguardo all’interno di questa suggestiva cornice dal Porticciolo a Piazza Colombo, costruita attorno al 1850 e rifatta in lastricato nel 1859, grazie al progetto dell’architetto Matteo Leoncini risalente all’anno precedente e alle finanze dei privati cittadini, per ingrandire il passaggio che univa il centro all’isola ed è da sempre luogo d’incontro, sede di importanti manifestazioni e convegni. Precedentemente la piazza dove venivano tirate in secca le barche della tonnara, era denominata della Libertà. All’interno dello stesso progetto fu tracciata Via della Repubblica, dove si stabilirono i ricchi. I portoni delle case dai decori pregiati erano a due ante, sormontati da una lunetta per la luce .

Nessuno può restare insensibile al suono del dialetto genovese sentito dalle bocche dei più anziani seduti sotto alla mancina, costruita nel 1846 per il carico e scarico dei bastimenti, o alla Madonna del Buon Viaggio, statuina del secolo XVII posizionata in fondo alla rampa, contornata di conchiglie, alla quale si affidavano i marinai in partenza, che con le voci roche, tipiche dei nostromi e di tutti i vecchi lupi di mare, raccontano le antiche arti marinaresche come fossero una melodia.
Un altro angolo dedicato alla preghiera è “Il Caroggino” dietro il porticciolo, dove si trova la Madonna dei Gotti con la raccolta di ex voto, che si festeggia in ottobre per ricordare le bevute dei marittimi imbarcanti, nelle osterie del quartiere medievale.
I marinai sono poeti logici e veristi romantici, amano la natura e l’avventura, sono legati alla famiglia, ma la loro casa resta il mare, che trasforma ogni momento in una prima volta.


Non era affatto raro vedere a bordo dei bastimenti le mogli dei marittimi pratiche della vita di bordo; in fondo ci vuole un gran coraggio per vivere il mare e forse era proprio l’amore a donarlo a queste donne.
Camogli si trova all’interno della pittoresca cornice del Monte di Portofino, zona dalla lussureggiante vegetazione mediterranea. Quando è brutto tempo e il monte si copre di grigio, il colore del mare è minaccioso e l’unica speranza è data dal campanile della parrocchia che spicca verso il cielo, mentre nelle calde giornate d’estate predominano le tonalità di verde e giallo, che sulle onde si mescolano al blu e il gioco di luci è da palpitazioni.
Anime alla ricerca di emozioni, pace, equilibrio e contatto con la natura, si perdono qui tra le onde del mare e i più bei tramonti d’inverno.

I bambini giocano sul lungomare mentre i genitori si preoccupano delle specialità gastronomiche da mettere in tavola a pranzo e i più giovani vanno a pescare, al diving center o noleggiano le canoe per una rilassante vogata alle pendici del Monte di Portofino, tra le rocce scoscese e le piante di lisca, mentre i più vecchi escono a pescare con le lampare.
Quello col mare è un legame esistenziale e duraturo, perché appartiene a ognuno dalle origini e rapisce. Noi Camogliesi nasciamo con le alghe tra i capelli e il sangue salato, non riuscendo a far a meno di questi scorci, che agli occhi dei passanti possono apparire a volte quasi noiosi, ma non sono mai uguali.
Lo sviluppo turistico qui cominciò negli anni ’30, infatti Camogli resta una città a dimensione d’uomo. In stazione c’è chi prende il treno per andare a lavorare a Genova o in provincia; chi lo prende per raggiungere le capitali industriali con la ventiquattr’ore sulla spalla e il broncio tipico degli umidi lunedì d’inverno; chi arriva da aeroporti lontani; chi fugge, ma il piacere di rientrare a Camogli dopo tanto tempo lo capiamo solo noi residenti.

Questa terra è un rifugio anche se l’epoca della vela è finita e gli uomini non traggono più soltanto dal mare la vita.
Ogni carruggio sa di tradizioni, di storia vissuta e la vecchia isola, primo quartiere medievale, unita al litorale nel secolo XIX grazie alla costruzione di Piazza Colombo, conserva la splendida basilica di Santa Maria Assunta, la cui pianta risale al secolo XVIII e il Castello della Dragonara, anteriore al secolo XII, del quale torrione maggiore fu costruito nel 1430, che venne dotato di una guarnigione di sei uomini stipendiati dalla repubblica. Nel 1457 il castello fu parzialmente abbattuto a causa delle spese eccessive e restaurato nel secolo XVI per far fronte ai pirati. All’epoca dei Saraceni Ernadino innalzava la bandiera pirata con la mezzaluna e una notte tentò di assalire il Castello, ma i Camogliesi rifugiatisi dentro le mura investirono i corsari con pietre, fuoco, olio bollente e i marinai combatterono finchè un proiettile colpì il turco.


I militari durante la prima guerra mondiale usavano il castello per sorvegliare il golfo, ma oggi è lo sciabecco “Dragun” a ripercorrere la tradizione piratesca.
Qualche artista ogni tanto si domanda dove finiscano le anime perdute e io ho sempre creduto si ritrovassero nelle onde gonfie delle mareggiate, che spinte dai venti spazzano via con forza i ricordi.
Dopo la tempesta del 29 ottobre 2008 il molo è rimasto senza un attracco, gozzi affondati, tavole di legno scricchiolanti scaraventate in tutto il porto, locali allagati, finestre rotte, la piazza è divenuta uno strato di spiaggia, uomini impauriti hanno provato con tutte le energie possibili a combattere contro Nettuno, ma gli sforzi risultarono vani. Pali di cemento armato arrancati e fatti a mucchi, metri di arenile portato negli abissi, tombini volanti, la passeggiata a mare realizzata ai primi del ‘900 piena di barche in secca e un senso di sconforto negli occhi dei passanti. Non sono i resti di una guerra, né un uragano ai tropici, ma solo l’acqua, elemento naturale che da la vita e la toglie punendo talvolta chi la sfida.

Il mare sottolinea sempre i propri confini e il fascino è subito dai marinai che come guerrieri si lanciano verso l’orizzonte per vedere terre lontane, per il bisogno di sentire la pelle seccata dal sole e dalle onde, studiando tutte le tecniche per vincerlo, ma spesso si nota qualcuno tra loro con un foglio di carta e una penna in mano, una macchina fotografica o una tela con degli acquerelli. Il mare è per tutti quelli che vogliono ascoltarlo e hanno la sensibilità per farlo, non c’è una materia che non affronti l’argomento, dalla fisica al disegno. Il mare è per gli scienziati che vogliono studiarne le origini, è per i creativi che lo immaginano dai mille volti, è per i letterati che sognano avventure corsare o amori nati fra le onde. I commercianti lo sfruttavano per l’andamento economico del paese, gli sportivi lo usano come palestra naturale, i viaggiatori ci si rifanno i sensi, ma tutti vogliono godere dei suoi riflessi.
Camogli permette di vivere la vita che si preferisce, a due passi dalla città, a due passi dal paradiso, come il nome del golfo che la accoglie e arrivandovi per la prima volta si nota l’autentico nucleo medievale che comprende anche l’ottocentesca Via della Repubblica.


I cittadini si sono sempre distinti per le capacità nautiche e dal medioevo in poi questa fu zona di importantissimi traffici commerciali, basti pensare che la prima somma per la costruzione del porto fu stanziata nel 1191, periodo delle coralline dirette in Africa e in Sicilia, delle tartane che portavano carbone dalla Maremma e delle barche che esportavano in Francia velluti e broccati camogliesi. Nel 1806 l’Amministratore francese riconobbe al porticciolo la qualifica di scalo commerciale di interesse pubblico, per la manutenzione del quale vennero stanziati 4000 franchi più quelli per il personale addetto alla pulizia. Nel 1808 venne eletto il primo Comandante del porto. Fino al 1918 gli armatori ebbero quasi 3000 bastimenti gestiti da equipaggi locali e Camogli con la potente flotta affermò il proprio valore anche durante la guerra in Crimea.


Nel 1853 sorse la Società di Mutua Assicurazione Marittima Camogliese, prima al mondo e nel 1875 i cittadini provvidero alla fondazione di una Scuola Nautica Comunale, che oggi è l’Istituto Tecnico Nautico Statale Cristoforo Colombo. Con la decadenza della navigazione a vela però la città subì una forte crisi e nel 1880 ospitò il primo Congresso Nazionale degli armatori italiani per discutere sulla sorte della Marina Mercantile italiana, presidente onorario il Generale Giuseppe Garibaldi.
Nel 1931 venne aperta la Casa di Riposo per la Gente di Mare “Ammiraglio Bettolo”, esclusiva nel suo genere, motivo di grande orgoglio per la categoria e per i patrioti. L’edificio sorge alto sul mare come fosse il cassero di una nave in mezzo agli ulivi ed è proprio da qui che qualche anziano marinaio scrisse poesie sull’antica navigazione a vela, mentre altri silenziosi e forti lupi di mare, oggi ricordano di aver solcato questo mare coi piroscafi. Ancor oggi quando le navi passano davanti alla terrazza della Casa per salutare i marittimi, essi salgono a rispondere con l’alza bandiera come fossero in plancia.

Antonio Salvemini prima di morire donò a mia madre un quaderno di poesie scritte probabilmente da queste finestre e una in particolare credo stia a cuore a tutti i marinai, perché coscienti che sulle loro tombe non vi sarà che “il volo di un gabbiano e una lacrima di donna”.
Vittorio Emanuele II nel 1877 conferì a Camogli il titolo di città, con 8600 abitanti, che nel 1934 scesero a 8000, dei quali 3000 erano marittimi.
Nel 1937 il massimo studioso della marineria camogliese Gio Bono Ferrari attuava l’istituzione del Museo Marinaro Municipale, unica in Italia e tra le prime al mondo nel settore della marina mercantile ottocentesca.
Sono tanti i personaggi storici camogliesi protagonisti di avventure marinaresche di rinomata importanza, tra questi G.B.Schiaffino che la notte di Natale del 1904 al comando del “Fortunata Figari”, navigava a sud dell’Australia e a causa della nebbia urtò il piroscafo inglese “Coogee”, che rimorchiò fino a Melbourne segnando un evento per la marineria e da quel giorno la nave venne ribattezzata “Vittoria”. Tra gli oggetti esposti al museo si trova anche la bussola della lancia del brigantino “Nemesi”, partito da Genova comandato dal camogliese Fortunato Razeto e naufragato il 16 settembre 1901 a sud di Capo Verde; grazie a quella bussola, i naufraghi navigarono nell'Atlantico per ben 2000 miglia marine (3600 chilometri), dopodichè furono salvati da un piroscafo inglese.


Arrivando a Camogli dal mare si notano sulla sinistra il “Mandraccio”, insenatura che testimonia la struttura del vecchio porto e sulla destra la parte del molo fatta costruire con decreto napoleonico nel 1809, ma si tratta già del secondo intervento edile perché la data della prima opera di prolungamento risale al 1708 e quella della costruzione del primo molo dal 1624 al 1640. Nel 1807 il governo fece costruire il braccio perpendicolare e nel 1910 il molo assunse più o meno la forma attuale.
Dove una volta c’era la spiaggetta chiamata “Inferno” nel 1821 venne progettato lo scalo e alla fine dell’800 venne costruito un piccolo cantiere navale. Al tramonto le rocce che lo circondano si tingono di rosso, mentre ombre stanche si allontanano dall’argano e si preparano alla prossima giornata lavorativa.

Tra i diari dei nostromi di Camogli si trovano racconti di lunghi viaggi attorno al globo, avventure in terre esotiche e quasi ancora sconosciute, tra queste Tristan da Cunha, scoperta nel 1506, che è abitata dai discendenti delle più antiche famiglie camogliesi. Tra sopravvissuti ai naufragi e passanti che volevano fermarsi in quell’isola sperduta per vivere nella natura incontaminata, nel 1825 Tristan da Cunha era abitata da 25 uomini, alcune donne vennero prese da Sant’Elena e verso la fine dell’800 la popolazione era composta da bianchi, neri e mulatti.
Camogli ha conservato tra le tradizioni folcloristiche la festa di San Fortunato patrono, martire cristiano le cui reliquie furono donate alla comunità parrocchiale di Camogli nel secolo XVIII, ricordata come la famosissima Sagra del Pesce della seconda domenica di maggio.
Ogni prima domenica d’agosto una processione di barche sfila verso Punta Chiappa a tempo di musica tra i botti dei mortaretti per festeggiare la Stella Maris, la Madonna che domina la scogliera. L’evento fu istituito da don Nicolò Lavarello, che cominciò a celebrare lì la messa per l’occasione e la popolazione si intratteneva nel verde del monte tra canti e vino.


Nel 1874 un gruppo di capitalisti camogliesi, tra i quali numerosi armatori, fece costruire il Teatro Sociale, sul modello del “Carlo Felice” di Genova. Questo gioiello architettonico ospitò molti personaggi famosi e fu il palcoscenico di numerose opere di rinomata importanza, ma dal dopoguerra risentì della crisi del settore. Oggi entrando nel Teatro si può ancora camminare sotto i loggioni udendo qualche lontana melodia della lirica, tra il profumo del legno antico, il rosso dei velluti e un brivido che percorre la schiena. Sono convinta che da qualche parte tra le poltroncine della platea qualche anima errante si stia domandando perché tutto questo silenzio e il sipario perennemente chiuso.
Arrivando a Camogli dalla via Aurelia, dopo aver fatto una ripida discesa fino alla costa tra alberi e splendide ville, si ammira uno scorcio a trecentosessanta gradi dal promontorio del Monte di Portofino a Genova e nelle giornate più limpide lo sguardo si protrae fino a Capo Mele.

Entrando da ponente nella via principale della città si possono immediatamente vedere dall’alto il faro e la scogliera, il litorale fino a dove la foschia permette e poco più avanti il braccio del molo costruito nel 1824, il cantiere navale, Piazza Colombo, il castello e la parrocchia. A questo punto la scelta è tra proseguire sulla via commerciale per arrivare ai negozietti del centro medievale o scendere la scalinata che porta all’imbarcadero e alla mancina, per prendere un romantico aperitivo sull’acqua. Dalla passeggiata mare sulla sinistra ci sono tutte le rampe possibili per ricollegarsi alla via superiore, spesso percorrendo vicoli d’importanza storica. La prima tappa dei turisti è quasi sempre la basilica di Santa Maria Assunta, dalla quale piazza si raggiunge il belvedere del castello, a una ventina di metri sul mare.

Il Monastero di San Prospero dei Padri Benedettini Olivetani, fondato nel 1880, sede di una collezione di antiche pergamene, domina il paese da occidente, dall’alto della Via Romana, mentre risalendo il lungomare, tenendo la spiaggia a destra, ci si sposta verso San Rocco di Camogli, una frazione che sovrasta il Golfo Paradiso e si può raggiungere anche con una mezz’ora di cammino attraverso le tipiche creuze liguri, superando la collina detta “Castellaro”, sede di insediamenti primitivi e successivamente di importanti scavi archeologici, di cui si trova spiegazione all’interno del Museo Marinaro. Da lassù i fotografi appassionati di paesaggi e natura scattano dalla ripresa in macro degli insetti, mentre l’erba fa loro il solletico alle mani, alla panoramica che al mattino acceca gli occhi, mentre alla sera, quando l’umidità annebbia i colori, si immergono in un’atmosfera idilliaca.


Scendendo lungo il sentiero per la punta, si passa di fronte alla chiesa romanica di San Nicolò di Capodimonte, una delle perle del golfo, che in epoca napoleonica era un’abitazione e custodisce l’immagine della Stella Maris, protettrice dei marinai e dei pescatori. Raggiungendo lo scalo si ha l’impressione di essere soli al mondo. Più avanti Porto Pidocchio da la possibilità ai battellieri di sbarcare i turisti che si avventurano sulle rocce taglienti, accompagnati solo dal rumore delle onde, per ritrovarsi in mezzo al mare su una lingua di terra di pochi metri dalla quale i paesi della costa si vedono come cartoline e Camogli pare soltanto un ammasso verticale di case colorate.

Al di là della punta si trova invece la famosa Cala dell’oro, un’insenatura del parco famosa per i fondali, un tempo rifugio dei pirati, sul fondo della quale giacciono resti di navi, probabilmente risucchiate dai vortici che spesso si creano in quel punto a causa delle correnti. Proseguendo verso la Baia di San Fruttuoso, luogo d’interesse storico, citato spesso per i fondali, si nota prima di tutto la Torre Saracena che una volta serviva per l’avvistamento dei nemici e addentrandosi nella stretta insenatura sulla destra una spiaggetta dall’acqua trasparente da il benvenuto, mentre sulla sinistra si apre lo scorcio dell’Abbazia romanica dell’VIII secolo fondata dai monaci benedettini, che subì successivamente l’influenza della famiglia D’Oria.


I Liguri erano un popolo di navigatori dai valori profondi e, dai testi archiviati al Museo Marinaro di Camogli, non risulta abbiano mai esercitato il commercio negriero.
Dentro il Castello della Dragonara si odono i suoni delle tempeste di Capo Horn e le voci dei veri lupi di mare che lo doppiavano. Laggiù tra iceberg e scogli aguzzi i venti si scontrano all’improvviso e non esiste giorno di quiete. Lo stretto del Drake è il corridoio più impervio dove gli uragani provenienti da ovest sollevano le “barbe grigie” e non resta che il deserto, che passando di là sentiamo anche dentro, insieme alle voci rinchiuse nei relitti che giacciono sul fondo.

Doppiare il capo oggi è una sfida umana, ma l’emozione maggiore è guardare le onde spingendo lo sguardo oltre e sperare di sentire le voci di quei nostromi alle vele dire: “Prua al ventoso!!!”
Forse oggi passato Capo Horn non si brinda più col caffè zincato al rhum, ma non esiste stanchezza e si ricordano i marinai salire arriva col mare in tempesta, rischiando la vita per superare le onde alte fino a 30 metri. Le stive dei vecchi bastimenti erano piene di gallette, patate, acqua, vino, olio, carne secca, piselli secchi, caffè, rhum e tabacco.
Il mare è il sentimento, qualcosa che non ritorna mai uguale, si agita, si gonfia, si calma e quando sembra riposarsi aumenta all’improvviso. Forse è prevedibile, ma mai controllabile e questo è il suo fascino, perché ci si può abbandonare tra le onde rapiti dal senso della sfida e dell’ignoto, passando una notte d’amore o una notte a combattere con un mondo ai confini di un altro.

Testo e foto di Laura De Cet Tienforti (8-2009)


Un ringraziamento a Rossana Fulle della Biblioteca Civica "N. Cuneo".

FONTI:
• "Camogli e i suoi dintorni" di Tina Leali Rizzi
• "L’epoca eroica della vela" di Gio Bono Ferrari
• "Camogli da borgo a città" di Roberto Figari
• Avvenire d’Italia - “Camogli piccolo porto” di Aldo Mayore
• "Camogli acquerelli" di Mino Castrogiovanni e Piero Ansaldo
•"La marina mercantile di Camogli" di Roberto Figari e Silvia Bagnato Bonuccelli